Economia
“Prima le imprese e il lavoro, poi l’Europa”
Le politiche restrittive e anti-crescita della finanza nordeuropea condannano il nostro Paese ad una deindustrializzazione irreversibile.
I parametri delle istituzioni sovranazionali sono la continuazione della politica di austerità che ha distrutto il nostro mercato interno negli ultimi anni, portando una perdita del 25% alla nostra produzione industriale.
Non è concepibile che uno Stato accetti regole che riducano la propria economia al limite di una crisi sociale.
L'Italia viene così condannata ad un collasso collettivo con una ulteriore perdita di migliaia di piccole e medie imprese, favorendo, non a caso, l'acquisizione delle nostre eccellenze industriali da parte di competitors europei, depotenziando il nostro sistema industriale.
L'ulteriore irrigidimento delle condizioni pretese dalla BCE sulla concessione del credito, insieme agli stress test e ai parametri di Basilea, aggraverà in via definitiva il credit crunch alle aziende di piccola dimensione non quotate in borsa, togliendo quel poco credito a loro concesso.
Si tratta di parametri tarati sui meccanismi speculativi globali - proprio quelli che hanno provocato la crisi - piuttosto che mirati a favorire una crescita sana dell'economia produttiva.
Gli appelli ad adeguarci alla nuova realtà troppo spesso nascondono la volontà di rendere egemoni i mercati finanziari globali, in contrasto con il modello delle PMI che affondano le loro radici nel territorio e nel lavoro onesto.
Non è una questione di chiusura o di resistenza all'innovazione, ma di modello economico e di concezione della società.
Rendiamoci conto che ciò che ci viene richiesto è di impossibile realizzazione se non con l’annientamento del nostro sistema produttivo.
C'è chi pensa di approfittare della subalternità della politica italiana per conquistare ulteriori segmenti di mercato, ma a lungo termine non c'è scampo: la politica europea del rigore farà affondare tutti, rendendo il continente sempre meno importante in un mondo dove si affacciano nuovi autori orientati al progresso.
O l'Italia o l’Europa: non esistono soluzioni a queste condizioni.
Usciamo dai parametri, rilanciamo la nostra economia, facciamoci pure multare dalla Ue, sarà il male minore pagare 5 miliardi di euro in caso di sforamento dell'1%.
Non è possibile che una economia in depressione possa produrre risorse per diminuire il debito pubblico.
Salviamo le imprese e il posto di lavoro degli italiani, tratteniamo in Italia le nostre industrie.
Se non esiste una politica solidale europea verso i paesi più in difficoltà, tutti gli appelli ai nobili valori dei fondatori dell'Europa si rivelano vuoti e strumentali, atti solo a dividerci ancora di più.
Non fingiamo di credere che potendo licenziare si risolvano i problemi della crescita di questo paese.
Verremo comunque tutti "licenziati" senza reintegra dal curatore fallimentare.
Paolo Agnelli