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Economia

L'APPUNTAMENTO

Trionfo per la prima bergamasca di «SMART FUTURE ACADEMY»

dicembre 2018

Quasi seicento - tra studenti e professori provenienti da diversi istituti superiori di città e provincia - per il debutto orobico di «Smart future Academy»: un progetto itinerante nato nel 2006 da un’idea della ex bocconiana Lilli Franceschetti - presidentessa dell’associazione - il cui obiettivo è fornire un orientamento tangibile ai giovani, offrendo loro la chance di ascoltare (e avvicinare) grandi personaggi dell’imprenditoria, della cultura, della scienza e dell’arte, alle prese con un intimistico amarcord della loro esistenza professionale, senza censurare opinioni, errori, scivoloni e consigli.
A raccontarsi sul palco del Centro Congressi il giornalista Giorgio Bardaglio; Emilio Bellingardi, direttore generale di SACBO; Cristina Bombassei, chief Csr officer di Brembo; il sindaco di Bergamo Giorgio Gori; Soviana Inghilterra, Capitano della Guardia di Finanza; Giovanna Mavellia, segretario generale di Confcommercio Lombardia; Giovanna Ricuperati, imprenditrice e titolare di Multi; Paolo Storoni, Colonnello dell’Arma dei Carabinieri e Comandante Provinciale di Bergamo; Matteo Zanetti, vicepresidente e Consigliere Delegato di Zanetti Spa.
Tra gli speaker anche l’editore di «Bergamo Economia» - nonché presidente del gruppo industriale Alluminio Agnelli e di Confimi Industria - Paolo Agnelli, che ha esordito spiazzando la platea. «Mi presento: sono un figlio di papà. Così come, prima di me, lo furono mio padre e persino mio nonno. La storia della mia famiglia, però, ha smantellato il luogo comune legato ai rampolli: nel corso di quattro generazioni siamo passati da una a tredici aziende. E volete sapere un’altra cosa? Nessuno di noi - ad eccezione dei miei due figli - è laureato. Vi hanno fatto credere che la laurea sia necessaria, che senza quel pezzo di carta non si possa avere successo: ma la realtà è che la stragrande maggioranza delle aziende, oggi, è alla ricerca di tecnici specializzati, non di dottori. Eppure, ogni due per tre spuntano nuove facoltà: l’università dovrebbe ascoltare di più le imprese, per sfornare persone che abbiano una reale e rapida collocazione nel mondo del lavoro. Le figure più ricercate - e introvabili - sono saldatori, tornitori, addetti ai macchinari o al controllo numerico. Il consiglio che do ai futuri maturandi è di non optare per la tal facoltà o corso di formazione soltanto perché approfondireste argomenti che già vi piace studiare: datemi retta, scegliete in cosa specializzarvi in base a ciò che cerca il mercato».
Per far breccia nelle teste delle centinaia di diciottenni seduti in platea, Agnelli ha rievocato le gesta di un loro coetaneo che, all’inizio del Novecento, visse un’esperienza destinata a cambiare la sua esistenza e le sorti di tutta la progenie. «Mio nonno, Baldassare, era nato e cresciuto a Milano. Ottenuto il diploma di cesellatore e orafo, decise di partire per il Montenegro - a quei tempi un luogo lontano e pressoché ignoto - per  imparare l’arte dei disegni damascati moreschi. Fu in quella terra che conobbe un metallo grigio e leggero, praticamente sconosciuto in Italia: si chiamava alluminio. Tornato a casa, riuscì a ottenere un incontro con Leopoldo Pirelli: tempo zero, iniziò a vendergli tubi per le camere d’aria, resi leggerissimi grazie all’utilizzo di quel materiale. Aveva appena vent’anni, eppure una banca gli concesse un prestito per costruire il suo primo stabilimento: oggi sarebbe un’utopia, considerato che ormai i mille cavilli fanno sì che gli istituti di credito eroghino il meno possibile. Ma il boom arrivò durante la prima guerra mondiale: tutto il rame - allora utilizzato per produrre pentole - venne requisito per i bossoli dei proiettili; mio nonno ebbe l’intuizione di sfruttare la conducibilità del “suo” alluminio per realizzarne di nuove: nacque così un’azienda che a distanza di un secolo è ancora leader nel mercato italiano».
Parte la raffica di domande da parte dei ragazzi. Cosa occorre per diventare imprenditori? «Spirito di iniziativa, coraggio e, ovviamente, anche un pizzico di fortuna». Vale la pena rischiare tutto per un’idea, lo incalzano? «Stiamo vivendo un periodo molto complicato, uno dei più duri per noi industriali. O si ha una trovata geniale, oppure difficilmente si farà strada. Tutti sognano di emulare Steve Jobs: partire da uno scantinato e dare vita a un colosso, ma è un mito irraggiungibile. Una cosa, però: se aspirate a diventare imprenditori per fare un mucchio di soldi o avere successo, toglietevelo dalla testa. La bussola deve essere un’altra: realizzare i proprio sogni».
Essere “figlio di papà” può essere delizia, ma anche croce: desiderava davvero seguire le orme dei suoi predecessori? «Sì: se fin da piccolo nasci, cresci e giochi dentro alla fabbrica, non vedi l’ora di diventare grande per poter apportare il tuo contributo. Non l’ho mai sentito come un obbligo, bensì come un desiderio. Se proprio fossi nato altrove, chissà: forse sarei diventato un architetto del verde, considerata la mia passione per le piante e la natura».
La gavetta è necessaria anche per chi nasce con la camicia? «È imprescindibile: bisogna formarsi a fianco degli operai. È il solo modo per conoscere davvero la propria azienda, sapere cosa fare e cosa dire quando la si amministrerà».
Dobbiamo rinunciare ai nostri sogni? «Volare è necessario per avere nuovi stimoli, raggiungere vette sempre più alte. Ma guai a non avere i piedi ben piantati a terra! In questo, i vostri genitori hanno un ruolo fondamentale: vi devono indirizzare, essere le vostre guide».
Come può dire a chi non ha una azienda di famiglia che la laurea è inutile? «La laurea serve per acculturarsi, ma sfatiamo il mito che sia necessaria per trovare un lavoro».
Infine, una curiosità: se la sua vita fosse un film? «Non ho dubbi: “La vita è una cosa meravigliosa”, di Frank Capra».

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