Economia
Il futuro secondo Carlo Calenda: orizzonti selvaggi e affascinanti
Da ministro dello Sviluppo Economico nel governo Renzi - e successivamente in quello Gentiloni - aveva puntato molto sul piano nazionale Industria 4.0, per avviare un nuovo rinascimento industriale. Oggi la ricetta di Carlo Calenda fa rima con formazione e cultura, ingredienti essenziali per ricompattare un fronte progressista uscito con le ossa rotte dalle urne e sempre più smarrito di fronte allo strapotere delle forze populiste.
In questi mesi sta girando l’Italia per presentare il suo libro «Orizzonti Selvaggi» (edito da Feltrinelli), che lui stesso definisce «un’opera militante, di impegno. Ho scelto questo titolo non tanto per farlo sembrare un Harmony, ma poiché gli orizzonti sono tanto pericolosi, quanto affascinanti».
Nella serata di mercoledì 21 novembre ha fatto tappa a Bergamo, in una gremita Sala Mosaico di via Petrarca, per illustrare alla platea orobica, insieme al primo cittadino Giorgio Gori, la propria analisi non solo sulla sconfitta storica vissuta dalla sinistra italiana, ma anche su un futuro che si presenta più complesso e difficile. La prospettiva di crisi valica infatti i confini nazionali e nel libro di Calenda vengono sviscerate le ragioni della sconfitta dell’Occidente e dei progressisti.
«Abbiamo promesso un mondo piatto, con la struttura della liberaldemocrazia considerata come l’unica possibile basata sul libero mercato, sul multiculturalismo e su una governance internazionale che avrebbe assorbito piano piano la sovranità degli Stati. Un mondo che aveva una sua forza ideale, ma ad un certo punto questo pensiero è diventato ideologico. La politica è diventata piatta e nel frattempo le disuguaglianze sono aumentate, con un fenomeno di crisi profondissimo: il problema non riguarda solo la crescita, ma anche l’identità. Abbiamo detto: “meno garanzie, più opportunità”, ma non abbiamo dato i mezzi per cogliere queste opportunità. Il 28 per cento italiani non è in grado di capire il senso di un annuncio pubblicitario: come è possibile guardare con speranza al futuro? Dobbiamo affrontare questa sfida a viso aperto».
Nel corso del suo intervento, Calenda ha citato il presidente americano Roosevelt, passato alla storia come uno degli alfieri del progressismo occidentale per aver dato vita al New Deal come strumento per reagire alla grande depressione che aveva colpito gli Stati Uniti («Diceva che l’unica cosa di cui bisogna aver paura è la paura stessa. Lui stesso aggiunse però un’altra frase, che non viene mai citata, ossia che avrebbe agito come se un nemico straniero avesse invaso gli Usa: e questo nemico era la povertà»). Seppur in maniera diversa rispetto alla crisi del ‘29, anche la crisi odierna vissuta dai paesi occidentali e dall’Italia è molto profonda, a maggior ragione se cresce il risentimento e i giovani perdono fiducia non solo nelle istituzioni, ma anche nella prospettiva di un futuro migliore. «Per i progressisti il concetto di futuro legato al fatto che possa essere migliore del presente, soprattutto per i giovani, è sempre stato centrale: oggi invece dobbiamo affrontare il fatto che per i Millenials la parola “progresso” ha un significato negativo. Il dato reale è che non sappiamo come l’intelligenza artificiale cambierà le nostre vite, così come per la globalizzazione, nessuno crede che possa avere effetti positivi per tutti. Sull’innovazione tecnologica stiamo facendo lo stesso errore fatto per la globalizzazione? È un fenomeno dirompente, ma non è una cena di gala. Dov’è il nostro New Deal? L’intelligenza artificiale ha effettivamente aspetti preoccupanti: secondo lo scrittore Harari si sta sperimentando una pillola in grado di creare una sensazione di felicità diffusa. Si potrebbe così andare a incidere sulla felicità tramite i neurotrasmettitori. Questo solleva una paura profonda dentro di noi, ossia l’uomo agito dalla tecnologia e non viceversa. Bisogna dunque governare questo processo, altrimenti i rischi nella vita quotidiana delle persone potrebbero essere devastanti: in un intero anno i 5 maggiori player di internet hanno pagato soltanto 14 milioni di tasse in Italia». Le contraddizioni, le disuguaglianze provocate da questi cambiamenti epocali secondo Calenda vanno analizzate, incanalate e anche affrontate con i giusti antidoti e rimedi: per l’ex ministro dello Sviluppo Economico una soluzione possibile è l’investimento sulle nuove generazioni, dal punto di vista formativo e culturale. «Occorre un cambiamento di fase di pensiero, c’è bisogno di fare un salto verso una democrazia progressista, attraverso scolarizzazione, competenze, aumento del tasso di presenza femminile nel mondo del lavoro. Se prendiamo in considerazione la prospettiva di un progressista vero, che ruota intorno al concetto di crescita della società, dobbiamo capire che la crescita economica non è più sufficiente e che anche il cambiamento dell’identità va governato con grande attenzione e più rispetto. Il nostro New Deal dovrebbe dunque partire da una cosa semplice: assicurare la stessa educazione al figlio di una casalinga di Pomigliano d’Arco rispetto al figlio di una famiglia borghese di Milano. Ci vogliono 30 anni e tanti soldi per realizzare tutto questo, ma se le famiglie capiscono che lo Stato si prende cura per davvero dei loro figli la prospettiva cambia: il legame con il futuro lo costruisci partendo dalle competenze e dalla scuola. I bambini, i ragazzi, sono molto pochi in Italia e andrebbero seguiti come se fossero dei tesori unici. C’è un altro punto importante, dobbiamo essere in grado di avere un pensiero lungo partendo da un assunto: i politici sono pagati per risolvere problemi nel presente. Non si può dire che risolveranno i problemi tra 15 anni, devi garantire che le inuguaglianze di oggi siano risolte oggi».
Lo sguardo di Calenda non si limita, come dicevamo, ai problemi di casa nostra, che vanno inquadrati in una cornice internazionale e globale. Inevitabile, dunque, affrontare uno dei temi “caldi” dell’agenda politica, ossia quello dell’immigrazione. «Che senso ha dire “teniamo le frontiere aperte”? Il processo dell’immigrazione è molto più complesso di questa rappresentazione e dobbiamo puntare ad avere flussi legali di migranti. Pensare di affrontare questo problema dando semplicemente del razzista a Salvini è una follia». La bussola? Pragmatismo e lucidità nell’analisi della situazione, caratteristiche che sembrano mancare al suo stesso partito, come ha sottolineato in alcuni passaggi. «I prossimi 20 anni in Italia saranno molto difficili e la sinistra è andata incontro ad una sconfitta epocale. Solo l’idea che da marzo il Pd sia intento a discutere del proprio congresso è da TSO. Mi sono iscritto al partito dopo le elezioni (ma mia moglie ha smesso di parlarmi per una settimana per questo) e ho scritto il «Manifesto per un fronte repubblicano», con l’intento di unire popolari, liberali e socialdemocratici che non hanno rappresentanza in un una piattaforma comune. Per questo documento ho ricevuto 3mila risposte via mail, 0 dal Pd. Al congresso appoggerò Minniti, ma la questione non si risolve con Minniti segretario, occorre fare molto di più. Sono inoltre convinto che la Lega ci voglia portare fuori dall’Euro e la procedura di infrazione del debito per lo 0,4 per cento è un disastro. Questo è accaduto perché non avevano uso di mondo europeo, l’idea “adesso faccio succedere il macello” non ci porta da nessuna parte. Su questo penso che imprese, sindacati e cittadini debbano andare dritti, perché lo scenario è molto inquietante e complesso».
L’ex ministro ha dunque incassato lunghi applausi, anche dal sindaco Giorgio Gori, con cui il feeling risale a tempi non sospetti: entrambi considerati outsider dal loro stesso partito, ora cercano di ricompatterne i pezzi, seppur con ricette diverse. Nel suo intervento conclusivo Gori ha spiegato di aver apprezzato il libro di Calenda, che ha un «approccio alla lettura psicologica, molto originale; ragiona sugli effetti che i fatti hanno avuto sull’anima delle persone. Quello che emerge è lo smarrimento, l’incertezza di milioni di persone di fronte alla crisi economica, all’impoverimento, all’immigrazione. Lo smarrimento è dunque il grande problema e mi convince la risposta che Calenda dà per fronteggiare questo tema: l’investimento sulla scuola e sulla cultura. Nel suo libro Carlo enfatizza il ruolo dello Stato: l’Italia è la nostra Patria, ma per contare qualcosa nel mondo globalizzato, anche l’Europa deve diventare la nostra Patria. Per quanto riguarda il Pd, per alcuni aspetti sono lontano dal pensiero di Calenda: credo che se non riscostruiamo da qui, difficilmente potremo costruire un fronte più ampio. Serve un sano ottimismo per riscostruire dignità e compattezza di una forza politica che potrebbe nei prossimi mesi recuperare uno standing più accettabile. Non indulgerei troppo nell’autoflagellazione».