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Economia

IL RETTORE

Morzenti Pellegrini: «il vero campus è il territorio»

novembre 2015

Remo Morzenti Pellegrini è il nuovo rettore dell’Università degli studi di Bergamo. Il nostro mensile l’ha incontrato nel suo studio, all’interno della sede del Rettorato di via Salvecchio, in Città Alta. E sin dalle prime battute è emersa la volontà del neo-rettore: mettere al centro dell’ateneo gli studenti, fornendo loro opportunità, motivazioni, apertura internazionale, qualità nella ricerca e nella didattica. E anche strutture:l’ateneo bergamasco è infatti impegnato direttamente nel progetto per la riqualificazione della ex caserma Montelungo, dopo la scommessa vinta del restauro della ex Chiesa di Sant’Agostino, divenuta ora l’aula magna dell’Università. Sulla sua scrivania Morzenti Pellegrini conserva gelosamente un libro del 1990, donatogli nei giorni scorsi da un cittadino, dal titolo “S. Agostino di Bergamo”, che racconta tutta la storia del complesso, anche sotto il profilo iconografico. “A 25 anni di distanza dalla pubblicazione di questo bellissimo libro, proprio in questi giorni, a cura di tre colleghi del nostro Ateneo, abbiamo pubblicato un nuovo ed interessante volume sul recente recupero filologico della ex Chiesa. Siamo orgogliosi di aver restituito alla città, in collaborazione con il Comune, questo luogo. É nostra precisa intenzione ora farlo diventare di nuovo un luogo di produzione e diffusione del sapere, sia per la nostra Università sia per la città di Bergamo. Deve diventare un luogo di incontri, di scambi culturali, anche a livello internazionale, per favorire un processo di crescita che coinvolga una platea più ampia di quella universitaria”.

Morzenti Pellegrini, ci può raccontare come ha iniziato il suo nuovo incarico di rettore dell’ateneo bergamasco?
Il 1 ottobre ho voluto iniziare il mio nuovo impegno con un incontro con le matricole: non era mai stato fatto e la sera del 30 settembre ho telefonato al direttore di Dipartimento di Lingue, letterature e culture straniere per organizzare un incontro in Aula Magna, con la partecipazione di tutte le matricole del suo Dipartimento. Ho dunque portato il mio saluto a questi studenti (ma attraverso loro intendevo rivolgermi a tutti gli studenti dell’Ateneo), invitandoli a essere consapevoli, curiosi e a diffidare delle cose non connesse a un sacrificio. Ho ricordato loro che l’Università degli studi di Bergamo è una comunità e loro ne sono al centro: noi abbiamo il dovere di formarli al meglio, loro quello di impegnarsi. Ho voluto quindi iniziare il mio mandato con questo dialogo con gli studenti, cosa che è non solo simbolica, ma rappresenta una linea di programma, un’idea di Ateneo.

Lei ha parlato di necessità di valorizzazione delle differenze all’interno dell’Ateneo. Ci può spiegare questo concetto?
Il nostro è un ateneo generalista, con diverse aree disciplinari e dipartimenti. Ora ritengo sia indispensabile uno sviluppo più armonico nella nostra Università, eliminando le disuguaglianze residue pur mantenendo e valorizzando le differenze. Tempo fa ero convinto che fosse fondamentale sempre più specializzarsi, ragionare in modo approfondito su una materia. L’esperienza di questi ultimi 6 anni ha però modificato in me questo paradigma e ho compreso che in un ateneo come il nostro è importantissima la progressiva “contaminazione dei saperi”: il valore aggiunto è dunque la “trasversalità”. Il sistema universitario lombardo, nel suo insieme, regge le sfide competitive che ci attendono (e Bergamo ne è al centro), ma al Centro-Sud si assiste ad un calo generalizzato delle immatricolazioni, in alcuni casi preoccupante. Oggi i ragazzi e le rispettive famiglie scelgono molto oculatamente il percorso di studi, individuando in modo consapevole il corso di laurea al quale iscriversi. Bergamo ha pertanto ora questo valore aggiunto, ossia essere in grado di far dialogare tra loro diversi saperi. C’è un corso di laurea nuovo che, in questo senso, ha riscosso un grande successo nelle immatricolazioni.

Quale?
E’ il corso in “Ingegneria delle tecnologie per la salute”, che costituisce la punta dell’iceberg di questo ragionamento. Non si tratta di un corso di laurea incardinato sull’area medica e non è nemmeno un corso di laurea di bio-ingegneria: si propone di approfondire le dinamiche che interessano il tema della salute a 360 gradi (invecchiamento, materiali, organizzazione, fluidodinamica del sangue, ecc.), basandosi sull’apporto di colleghi di diverse discipline scientifiche e della collaborazione con Ospedali e centri di ricerca nazionali ed internazionali. Questo corso di laurea si propone, infatti, di fornire gli strumenti necessari per l’organizzazione e la gestione delle nuove tecnologie nell’ambito clinico, per l’assistenza e la salute. La nuova figura professionale che andremo a formare, risponderà alle nuove esigenze nel mondo della salute e del benessere, realizzando quel ponte, ancora mancante, tra il mondo della medicina e quello dell’ingegneria. La qualità della nostra offerta formativa, pertanto, deve sempre di più basarsi su multilinguilismo e multiculturalità, ma anche sulla interdisciplinarietà e multi-disciplinarità che deve essere ulteriormente valorizzata. I recenti accordi sottoscritti con l’Università di Stoccarda e di Oxford, con il Max-Planck-Institut per la Storia della scienza di Berlino e con la Sorbonne di Parigi, vanno in questa direzione.

Come intende sviluppare il rapporto tra la città e la sua Università?
Negli ultimi anni si è sempre più affermata una logica di “terza missione”: l’Università non deve essere vista come una “torre d’avorio”, ma valutata anche per l’impatto che le sue attività (ricerca e didattica) hanno sulla società, anche a livello di processi partecipativi. E l’ateneo bergamasco è in prima linea in questi ambiti: basti pensare, tra gli ultimi esempi, alla discussione sulla ridefinizione del nuovo centro cittadino, sull’ipotesi di aggregazione Sea-Sacbo o ancora sul rapporto con Regione Lombardia riguardo alla redazione del Piano regionale territoriale sulle Valli Alpine. Tutti progetti che vedono la nostra Università quale protagonista attiva. La “terza missione” per un ateneo come il nostro, con un indice elevato di attrattività per matricole da fuori provincia e da fuori regione, con 6 corsi di laurea in inglese e numerosi visiting professor, significa per l’appunto questo. E il recupero dell’ex caserma Montelungo rientra pienamente in questa logica: vi saranno alloggi non solo per gli studenti, ma anche per ricercatori e visiting professor, oltre a nuovo spazi di aggregazione sociale e una sede per il Cus in città. Abbiamo bisogno di tutto questo e non vediamo l’ora che il progetto venga presentato a dicembre.

Un progetto a cui lei tiene in molto...
Questo recupero fa parte di un percorso culturale-formativo che, nella Città Alta, parte da Via Salvecchio, si muove poi su piazza Rosate, prosegue lungo il borgo verso la Fara fino a Sant’Agostino, scende ancora nella dorsale verso il Collegio Baroni (a maggio ci verrà consegnato il secondo lotto, che completerà il campus umanistico), fino all’Accademia Carrara e alla Gamec. E da lì si arriva alla Montelungo. Non è una questione strettamente urbanistica, ma credo che questo debba essere, per quanto di nostra competenza, l’impegno dell’Università degli studi di Bergamo: creare un nuovo asse culturale, oltre che logistico, per gli studenti e per la città. L’idea tradizionale di campus è infatti tramontata da tempo e l’Università ha dovuto fare, nel tempo e fortunatamente, altre scelte: oggi però possiamo dire che il “campus”, come accade in altre città europee, è l’intero territorio, comprendendo anche la città di Dalmine (sede del campus di ingegneria).

Come intende sviluppare il dialogo Università-Impresa?
Essere un ateneo di provincia, aperto, multiculturale, con una forte apertura internazionale, deve oggi essere motivo di orgoglio perché può essere considerato un avamposto per l’intero sviluppo territoriale. Possiamo contare, ad esempio, su un aeroporto che ha collegato la nostra città con il mondo: abbiamo studenti che provengono dalle rotte dei vettori low cost, cioè che partono verso i loro luoghi di origine di venerdì e tornano la domenica sera, per assistere alla lezioni il lunedì successivo; abbiamo visiting professor che sempre di più vogliono venire a Bergamo e abbiamo dato loro la possibilità di incontrare le imprese: non vorremmo finanziare progetti di ricerca all’estero, bensì mettere in campo le risorse per sviluppare qui le loro idee. In una società complessa come la nostra, in cui tutto cambia e in modo così rapido, in cui il mondo delle imprese si muove su scala globale e il sistema bancario è al centro di continue riflessioni, diventa ora fondamentale puntare sul “radicamento della conoscenza”. Quella non la sposta nessuno.

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