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Personaggi

DINO FINOLLI

Bergamo non è il far west

dicembre 2014

Fortunato Finolli (anche se preferisce essere chiamato Dino), classe 1954, nato a Napoli, dal 12 giugno 2012 è alla guida della Questura di Bergamo. Lo abbiamo incontrato nel suo ufficio nella sede di via Noli, dove ci ha accolto non sottraendosi a nessuno degli argomenti (alcuni dei quali spinosi: dagli ultrà atalantini alla movida, dai furti ai numeri di identificazione per le forze dell’ordine, dal caso-Yara alla Stazione) contenuti nell’intervista.

Finolli, lei è da quasi due anni al vertice della Questura di Bergamo. Che bilancio fa di questo biennio?
Il bilancio è senz’altro positivo: ci sono stati alcuni momenti di tensione dovuti ai tifosi atalantini, ma nemmeno più di tanto.
Le maggiori criticità le abbiamo rilevate verso la fine dell’anno scorso, quando c’è stata un’impennata dei furti in appartamento non solo nella città di Bergamo, ma in tutto il Nord Italia. Per quanto riguarda il numero di omicidi in provincia, nella Bergamasca il livello è molto basso, siamo nell’ordine di 1-2 l’anno.

Cosa ha potuto apprezzare del carattere dei bergamaschi?
Devo dire che i bergamaschi hanno un carattere un po’ chiuso e riservato. Questa loro caratteristica li rende da un lato molto simpatici, dall’altro può generare qualche problema: talvolta tendono a considerare la loro realtà come un’isola felice, che per definizione è un pezzo di terra circondata dal mare. In realtà Bergamo confina con grandi realtà come Milano e Brescia e a sud, tramite il Trevigliese, guarda alle grandi città dell’Italia Centrale: si tratta di una realtà importante della Pianura Padana e ben inserita in questo contesto. Spesso si pensa dunque che il crimine possa essere cancellato, ma lo si combatte e si contrasta senza la pretesa di annullarlo completamente.

Uno degli episodi più negativi degli ultimi due anni fu lo stupro avvenuto nella zona di Borgo Santa Caterina, anche per le ripercussioni di questo fatto sull’ordine pubblico...
Senza voler sminuire in alcun modo il fatto, ma ho 42 anni di lavoro alle spalle e nella mia carriera ne ho viste di tutti i colori. Rispetto all’episodio da lei citato, lo stupro fu scoperto e l’autore del reato venne subito arrestato; ci fu qualche momento di contestazione da parte di un gruppo di persone che manifestavano contro la detenzione domiciliare. Per questo motivo posso dire che l’unica criticità degli ultimi due anni è stata rappresentata dalla massa di furti in appartamento dell’anno scorso, che attualmente si è attenuata.

Sempre in merito a Borgo Santa Caterina, il quartiere è da tempo al centro dei riflettori per la questione movida. I residenti chiedono una maggiore presenza delle forze dell’ordine per sorvegliare la via nelle ore notturne: lei cosa ne pensa?
In Borgo Santa Caterina ci sono due interessi tra loro contrastanti che difficilmente possono convivere: da un lato il diritto al riposo dei residenti, dall’altro i ragazzi che vogliono divertirsi. Non si tratta di mandare più pattuglie nella via: finora ci siamo concentrati sul controllo del rispetto delle regole da parte dei locali, ma quando si parla di 400-500 ragazzi in strada la valutazione deve essere necessariamente diversa e di natura politica. Per noi non è un problema intervenire, ma siamo consapevoli del fatto che i ragazzi non accetterebbero di essere sgombrati con la forza: da un problema di disturbo della quiete pubblica si passerebbe dunque a un grave problema di ordine pubblico.

In occasione della partita Atalanta-Verona si sono verificati gravi incidenti. Lei aveva rivolto un appello ai tifosi perché evitassero la strada della violenza...
Non ho nulla in contrario al tifo sportivo e nemmeno a quello per l’Atalanta. Sono però contro i fanatici e contro il fanatismo, anche perché una partita di calcio è una partita di calcio, non un luogo dove bisogna rischiare la vita. Lo scontro fisico tra tifoserie pertanto non lo comprendo.

 

Sempre a proposito di ordine pubblico, la foto dell’agente (successivamente definito “un cretino” dal Capo della Polizia) che calpesta una manifestante a terra (in seguito agli scontri avvenuti a Roma durante una manifestazione per il diritto alla casa) ha fatto il giro del mondo. Lei che idea si è fatto su quell’episodio?
Le istantanee molte volte non rendono la verità: è vero che il poliziotto ha calpestato la manifestante a terra, non ho nulla da eccepire su questo, ma c’è da dire che in quella situazione i manifestanti non si sono di certo comportati da gentiluomini: se non voglio correre rischi, di certo non vado ad attaccare le forze dell’ordine. Per voi giornalisti la fotografia di un poliziotto che calpesta una manifestante (atto riprovevole in sé, come ho detto) è da prima pagina, mentre se sono i manifestanti a menare un poliziotto fa parte del gioco delle parti. Spesso non si tiene presente il fatto che non siamo il terzo incomodo in una battaglia, noi siamo lo Stato: non è una parola vuota, lo Stato sono io, come lo è lei e come lo sono tutti i cittadini del nostro Paese. Noi siamo lì per tutelare la comunità e per far rispettare le leggi: se si vogliono cambiare, lo si può fare attraverso il Parlamento.

Con quest’ultimo episodio è però tornata in auge la questione dei numeri identificativi sui caschi dei poliziotti. Lei è d’accordo?
Come forze dell’ordine non abbiamo nessun problema a essere identificati. Ogni atto che noi firmiamo viene valutato dalla Magistratura, che è un organismo autonomo dello Stato: se il magistrato non convalida un arresto o un sequestro, significa che siamo in presenza di un arresto o di un sequestro improprio e dobbiamo risponderne. La nostra è dunque un’attività sottoposta a svariati controlli, anche interni. Il casco non dà pertanto garanzia di anonimato. Detto questo, il poliziotto in servizio durante le manifestazioni o allo stadio, non si va di certo a divertire.

Il tema-sicurezza è sempre molto percepito dai cittadini: a Bergamo si parla di insicurezza e di mancanza di agenti. Lei è d’accordo?
La percezione delle sicurezza è molto utilizzata come vocabolo, dimenticando che si tratta di un fatto soggettivo e che dipende da molteplici fattori: età, lavoro, esperienze pregresse. Devo dire che nella Bergamasca nell’ultimo anno si è verificata un’aggressione di rilievo sui patrimoni dei privati, analogamente a tutta la Lombardia. Il numero degli agenti a Bergamo non è elevatissimo, ma congruo al controllo del territorio: se però lei mi dice che ogni strada deve avere una pattuglia, le dico subito che non è un’ipotesi realistica. Si pensa forse troppo spesso che Bergamo sia un’isola felice, ma in realtà ha gli stessi problemi, mutatis mutandis, di Milano.

Quali sono, dunque, i problemi maggiori per la città in termini di sicurezza? Cosa mi può dire della Stazione e dello scalo merci, ad esempio?
Alla Stazione Fs si ha una percezione di insicurezza dovuto ad alcune persone disadattate che gravitano nella zona: si tratta spesso di disadattati mentali, più che criminali, e che andrebbero seguiti socialmente. Si tratta di soggetti che noi conosciamo molto bene, spesso compiono risse e rapine tra di loro e che vanno a dormire sui vagoni. Non nego che talvolta vittime di furti siano stati anche studenti, ma la realtà va vista nel suo complesso: lo stesso discorso si potrebbe applicare al quartiere della Malpensata, dove si tende a banalizzare il concetto di spaccio di droga. In realtà non è così: abbiamo scelto che la dose personale non è punibile penalmente? Ebbene, lo spacciatore quando viene preso, addosso ha solo dosi che può dichiarare per uso personale: per noi tecnicamente è quindi un abituale utilizzatore di stupefacenti. Lo spaccio di droga è quindi un reato che va dimostrato e non è così semplice dimostrarlo.

L’ultima domanda riguarda Yara. Lei tempo fa ha rivolto un appello per trovare il colpevole: pensa sia ancora possibile identificare l’assassino?
Io ci spero, ci stiamo pensando energie immani. Il caso di Yara rappresenta un “unicum” nel panorama criminale oserei dire a livello mondiale: abbiamo il profilo genetico, ma non il sospettato. Abbiamo prelevato 15.000 Dna, ma senza nessuna possibilità di sbrogliare la matassa. Continueremo a lavorare al finché avremo la possibilità di svolgere le indagini, ma non si può dire che non siano state spese energie per cercare di risolvere questo caso.

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