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Personaggi

GIORGIO PASOTTI

«La cosa più difficile è raggiungere il cuore degli spettatori»

dicembre 2020

L’affermato attore e regista Giorgio Pasotti si racconta ai nostri lettori, dal suo percorso artistico fino al legame indissolubile che ha con Bergamo, sua città d’origine. Nonostante si sia trasferito a Roma per lavoro, l’amore che nutre per le proprie origini è lampante, ne è conferma il film da lui diretto “Io, Arlecchino” che l’artista ha voluto girare proprio a Cornello del Tasso (BG) e nell’affascinante Città Alta, dando massimo risalto alla bellezza della nostra provincia.
Attore e anche regista, da dove è nata la sua passione per la recitazione? Cosa l’ha spinta ad entrare anche nel mondo della regia?
Finito il liceo mi iscrissi all’Università di Pechino dove studiai per tre anni medicina tradizionale applicata allo sport (il mio obiettivo era appunto diventare un medico sportivo) e fu proprio durante il periodo trascorso in Cina che mi è capitata la possibilità di partecipare ad una piccola parte, diciamo quindi che la mia passione per la recitazione è nata dalla curiosità. Tornato in Italia non avevo intenzione di fare l’attore ma il famoso regista italiano Daniele Luchetti mi contattò offrendomi la parte da protagonista nel suo film “I piccoli maestri”, è stato grazie a questa occasione così inaspettata che mi sono catapultato nel mondo del vero cinema. Da quel momento ho preso coscienza di ciò che volevo fare nella vita ed ho capito quanto questo lavoro mi desse soddisfazione, il pensiero di emozionare il pubblico mi ha spinto a continuare questa carriera senza mai più fermarmi. Il percorso da regista invece è stato cercato, era da tempo che volevo raccontare delle storie dal mio punto di vista, per cui inizialmente sono partito scrivendo delle sceneggiature che non ho però diretto io, in seguito mi si è aperta l’opportunità di intraprendere questa avventura con “Io, Arlecchino”, insieme a Matteo Bini ed i due produttori bergamaschi Nicola Salvi ed Elisabetta Sola.
Bergamo è stata protagonista proprio di del film “Io, Arlecchino”, cosa l’ha spinta a scegliere la nostra città come location principale?
Ho scelto Bergamo perché, oltre ad essere la mia terra, la leggenda narra che è nata proprio lì la maschera di Arlecchino. Credo che l’intera provincia ed i suoi luoghi (come il Teatro Sociale in Città Alta) siano una parte integrante e fondamentale del film.
Proprio quest’anno è uscito il suo secondo film come regista “Abbi Fede”, ce ne vuole parlare?
Il film è ispirato alla pellicola pluripremiata danese del 2005 chiamata “Le mele di Adamo” di Anders Thomas Jensen, di cui abbiamo comprato i diritti e fatto un remake. Il tema principale, a me molto caro, è quello della fede che ho voluto rielaborare dal mio punto di vista, non stravolgendo totalmente un film già perfetto, ma cercando solo di renderlo più attuale ed italiano, aggiungendo quell’ironia che ci caratterizza.
Qual è stato il momento della sua carriera che ricorda con più emozione?
Ce ne sono diversi, non per forza legati ai successi, mi rende felice quando ripenso a tutti i progetti a cui ho preso parte che poi hanno riscontrato il favore del pubblico, infatti la cosa più difficile per un attore è raggiungere il cuore degli spettatori. Sicuramente l’aver partecipato ad un film che poi ha vinto un premio Oscar è stata una delle emozioni più grandi, oltre che un grande onore, diciamo che non è cosa da tutti i giorni perché la percentuale dei film italiani che raggiunge quel tipo di livello è veramente bassa. Credo però che la carriera di un attore vada vista nel suo insieme perché ognuno lascia sempre qualcosa di sé nel personaggio che rappresenta.
Mi riallaccio alla sua frase “solo una piccola percentuale del cinema italiano riesce a raggiungere livelli da Oscar”, cosa manca secondo Lei ai nostri film per raggiungere quelli più premiati, spesso americani?
Penso manchi un po’ di coraggio da parte soprattutto dei produttori nell’affrontare certe tematiche e saperle raccontare in un determinato modo. Negli ultimi anni ci siamo un po’ fermati, infatti tendiamo a produrre commedie tutte uguali, senza osare minimamente. Ovviamente fanno eccezione i talenti indiscussi come Sorrentino, Muccino e tutti gli altri maestri italiani del cinema mondiale che hanno la capacità di raccontare storie in maniera universale, facendo breccia nel cuore di chiunque.
Il Covid ha stravolto totalmente il mondo dell’arte, come è cambiato dal punto di vista di voi artisti? L’industria del cinema ha subito delle ripercussioni?
Assolutamente sì, l’industria del cinema ha subito grandi ripercussioni e continua a subirne, noi artisti siamo stati la prima categoria ad essere fermata e saremo certamente l’ultima a ripartire, per cui siamo i più penalizzati dalla pandemia. Purtroppo quando si parla di attori c’è sempre il mito che ci descrive come fortunati perché ricchi e famosi, ciò non corrisponde alla realtà: quelli privilegiati son pochi, migliaia invece non lo sono altrettanto e, dietro di loro, c’è un numero ancora più elevato di persone (come tecnici di ripresa, macchinisti, scenografi, compositori musicali, costumisti, truccatori, parrucchieri e tanti altri) a cui, se si nega la possibilità di lavorare, lo Stato non garantisce alcun tipo di sostegno perché possiedono contratti occasionali. Il Covid infatti ha messo alla luce quanto questi comparti siano da sostenere e riorganizzare, per questo, tramite Unita, associazione che raccoglie i più importanti interpreti italiani, stiamo lottando per dar loro un’identità professionale, cosa mai fatta finora. Da quando quest’estate hanno cercato di riaprire sono andati in scena circa 3.500 spettacoli con una partecipazione del pubblico di circa 20.000 persone, tra queste hanno trovato un solo caso di positività, credo infatti che cinema e teatri siano i luoghi più sicuri perché con una media di 1/2 spettacoli al giorno sarebbe facile andare incontro alle misure cautelative contro il virus. Anche il nostro modo di lavorare è cambiato totalmente, l’ultimo set a cui ho partecipato è stato davvero duro: dovevamo portare continuamente la mascherina e mantenere il più possibile le distanze (a parte quando recitavamo) ed ogni settimana eravamo sottoposti a tampone, se si trovava qualcuno di positivo, dovevamo fermare le riprese fino a quando non c’era il riscontro negativo, inoltre hanno dovuto aumentare il budget per coprire i costi di prevenzione e sanificazione.
Sta già lavorando a dei nuovi progetti?
Con questa situazione, sapere oggi cosa si farà domani è già difficile, soprattutto per noi del mondo dello spettacolo. Covid permettendo, nel 2021 c’è la volontà di realizzare un terzo film da regista e prendere parte a tanti altri progetti, tra serie tv e film. Mi piacerebbe anche portare avanti “Amleto”, iniziato prima del lockdown di febbraio e sospeso dopo solo tre date.
Torna ogni tanto nella sua amata città d’origine? Se dovesse scegliere una location per ambientare uno spettacolo teatrale, quale sarebbe?
Vengo spesso a Bergamo, sono molto legato alla mia terra e alle mie radici, e quando ritorno sento maggiormente l’attaccamento. Se fossi il direttore del Teatro Donizzetti mi piacerebbe organizzare un concerto in Piazza Vecchia o sugli Spalti di Città Alta, sfrutterei questo museo a cielo aperto come se, nel mio immaginario, la musica potesse trasferirsi lontano raggiungendo luoghi dove non può arrivare.
Un messaggio di vicinanza per Bergamo?
La reazione dei bergamaschi è stata da subito encomiabile, ho visto la mia gente reagire in maniera unita senza lasciarsi andare allo sconforto e ciò mi ha reso davvero  orgoglioso. Ora dobbiamo soltanto rispettare le regole e sperare che, con misure di contenimento, si possa tornare presto alla normalità. 
Ilaria De Luca


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