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PENTOLE D'ORO

Maria Acquaroli, la cuoca filosofa dal cuore green

giugno 2018

«è il tempo che hai perduto per la tua rosa, che l’ha resa così importante», recita uno dei passaggi più celebri del «Piccolo principe». Una frase a cui è inevitabile pensare, mentre Maria Acquaroli mostra orgogliosa le pregiate rose inglesi che tre anni fa scelse di seminare lungo il porticato che incornicia il salone centrale della sua Tenuta Serradesca, a Scanzorosciate.
«Papà non era d’accordo. “Le spose - ripeteva - vogliono arrivare qui e trovare un panorama  perennemente fiorito”. Ho deciso di fare di testa mia, adeguandomi ai tempi della natura: assecondando la sua lentezza, capace di educare alla pazienza. Ho selezionato personalmente ogni pianta, ogni fiore: procedendo anche per errori, ma ascoltando soprattutto la mia sensibilità. Se tornassi indietro, credo che mi iscriverei ad Agraria, anziché laurearmi in filosofia».
Non si stenta a crederle: Maria fa gli onori di casa, presentando una ad una quelle isole verdi destinate a trasformarsi in un tripudio di colori e odori. Come le iris, che ha regalato al suo Stefano (Capelli): sono convolati a nozze nell’ottobre del 2016 proprio nei giardini di questa cattedrale fiorita, che si estende lungo cinque ettari. O il geranio giapponese strisciante - le cui note olfattive rimandano all’incenso - pronto ad esplodere in una moltitudine di petali lilla. E l’anemone proveniente dal Sol Levante, i cui steli diverranno tanto lunghi da fare il solletico al cielo. Menzione speciale per il rigoglioso ed elegante acanto, «eletto a ornamento dei capitelli corinzi. Lo amo al punto che il mio abito da sposa ne era ricoperto», racconta.
La cura - quella fatta di silenzio e pazienza - con cui l’ex concorrente di Masterchef si approccia a queste piante è la stessa che riserva alla sua cucina. «Il fil rouge che accomuna i miei piatti è l’onestà: devono essere coerenti con l’immagine della Serradesca. La forma è importante - facciamo eventi, matrimoni - ma credo che chiunque varca la soglia si aspetti di trovare cibo genuino e di qualità: propongo portate comprensibili, semplici; materie prime eccellenti. Precisione e riguardo per i più piccoli dettagli sono imprescindibili: per quanto possibile, ci appoggiamo sulla nostra azienda agricola, che è attiva dal 2013». Zucchine, melanzane, pomodori, insalate, erbe aromatiche, more, mirtilli, pesche, albicocche, mele pere, ciliegie, uva fragola, cachi, uova, pollame e miele provengono prevalentemente dalla tenuta, così come Pinot grigio, Chardonnay e Incrocio Manzoni.
Hai plasmato questo luogo a tua immagine: in cosa ti somiglia?
«Nell’anima rustica e rurale, bergamasca, portatrice, però, di un’eleganza poco convenzionale, per nulla formale. Mi spiego: niente giardini all’italiana, ma un grande vigneto esagonale intorno al quale si irradia una natura spontanea e tante piante perenni, che danno vita a una flora stabile. La chicca? La chiesetta vegetale, in cui celebrare i riti civili. La Serradesca è “country chic”: così come siamo io e mio marito Stefano. Abbiamo seguito insieme tutto il processo di ristrutturazione».
Il piatto che ti rappresenta maggiormente?
«Senz’altro i risotti: amo mantecarli dentro alle enormi pentole rettangolari in alluminio che ho fatto fare su misura, di modo che la cottura sia omogenea sui due fornelli che utilizzo. In questo periodo sono particolarmente affezionata al risotto con melanzane alla brace, spuma di latte affumicata, pomodori confit e basilico aggiunto in mantecatura. Un piatto semplice, ma caratterizzato da piccoli dettagli. La mia brigata sa quanto sia pignola: ogni passaggio va rispettato alla lettera. La cura è un approccio fondamentale per ogni cosa: anche per i risotti».
Da quante persone è composta la brigata?
«Siamo in sette: due per la preparazione delle linee - dolce e salata - due per i finger food e i freddi, tre per le cotture calde. Io faccio da jolly: attualmente coordino, poiché sono stata messa a riposo in vista della nascita di Agata, prevista per l’estate. Dante, di quasi 3 anni, presto avrà una sorellina».
Gli Acquaroli sono ristoratori da quattro generazioni. Tuo padre, inoltre, è stato tra i primi a lanciare la tendenza dei matrimoni in villa. Cos’hai imparato da tuoi genitori?
«Papà Fabio mi ha mostrato la dedizione: anche quando eserciti una professione che impegna sette giorni su sette e cancella i sabati e le domeniche dal calendario. Mai una lamentela, una critica alle spalle dei clienti o musi lunghi nei confronti dei dipendenti. Lui rappresenta la serenità di chi ha sempre tutto sotto controllo: un atteggiamento vincente persino quando si tratta di dover affrontare eventuali grane. Mentre mio padre gestiva il nostro “macrocosmo” - i castelli di Marne e Monasterolo, nonché Villa Acquaroli a Carvico - mamma Irma, con la sua grazia innata, curava miriadi di piccoli dettagli, capaci di fare la differenza. Mi ha educata alla comprensione e al rispetto. Entrambi hanno veicolato a me e mio fratello, Andrea, un messaggio importante: il lavoro deve essere fonte di soddisfazione».
Impossibile non parlare di Masterchef. Un’esperienza poco affine a una persona riservata come te.
«Fu Stefano a spingermi. Per me era una fase di transizione - con il cantiere della Serradesca appena avviato - e pensai potesse rivelarsi l’occasione per mostrare chi fossi: Maria e basta. Volevo scrollarmi di dosso la nomea di rampolla, raccomandata: mi onora portare il mio cognome, ma fino ad allora, non ero che “la figlia di”. Sono passati soltanto quattro anni, eppure mi accorgo di essere parecchio cambiata: la maternità mi ha resa meno rigida. Ho imparato ad essere più diplomatica».
Sul web ti accusarono di arroganza.
«Ed era vero: rivedermi in puntata e leggere quelle critiche mi ha aiutata a capire come mi percepissero gli altri. Sono una persona sicura, che alle volte pecca in termini di presunzione: ma la realtà è che si tratta di una corazza che ho dovuto indossare per contenere l’eccesso di partecipazione che mi caratterizza. Ho una natura molto empatica».
Sul piano umano, come sono stati i mesi di registrazione?
«La Tv può essere implacabile. I giudici sono imprenditori molto seri, che fanno bene il loro mestiere: sanno che, a telecamere accese, bisogna calcare la mano. Dal punto di vista culinario, invece, era come andare in gita scolastica: non hai piatti da pulire, trasferte da organizzare o spese da fare».
Il piccolo schermo ti ha più cercata?
«A registrazioni concluse, la mia vita ha preso un’altra piega: sono rimasta incinta di Dante e ho dedicato gli ultimi tre anni al lavoro e alla famiglia. Qualche no l’ho detto: ma un domani, chissà!».
Lo chef che maggiormente ammiri?
«Pietro Leemann: il più all’avanguardia. È di un altro pianeta: etica professionale, spiritualità, sensibilità. Ho un debole pure per le chef donne: per noi, in cucina, è tutto più duro, perché si tratta di un ambiente cameratesco, maschilista».
Progetti futuri?
«Ho una miriade di sogni: prendere una laurea in Agraria, espandere l’azienda agricola, creare una fattoria didattica, specializzarmi in barbeque e grill, sfruttando al meglio la nuova area che abbiamo appena inaugurato. Ma forse, l’ambizione più grande è continuare in questo modo: dando il massimo ad ogni banchetto. Mi compiaccio quando le persone riconoscono le nostre fatiche e capiscono con quale dedizione celebriamo il loro giorno più bello. Curando ogni cosa: il cibo e la location, ma anche i fiori». Rossella Martinelli


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