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Economia

L’INTERVISTA

«NazItalia: viaggio in un paese che si è riscoperto fascista»

ottobre 2018

Curve di ultrà fascisti negli stadi, spiagge allestite con cartelli inneggianti a Mussolini, concerti nazi-rock, periferie nelle quali vengono distribuiti pacchi alimentari per costruire il “welfare nero”. E soprattutto fotografie, selfie spavaldi indossando magliette di particolari griffe: nient’altro che messaggi in codice volutamente - e furbescamente - lanciati in tante occasioni.
Il viaggio nel mondo dell’estrema destra italiana è fatto di tanti fili all’apparenza isolati tra loro che, una volta riannodati e collegati, offrono un ritratto chiaro: quello che raffigura lo sdoganamento e l’ascesa dei “fascisti del terzo millennio” nel nostro Paese. A descriverlo è «NazItalia - Viaggio in un Paese che si è riscoperto fascista» (Ed. Baldini+Castoldi), l’ultimo libro del giornalista bergamasco Paolo Berizzi, inviato de «La Repubblica».
Come è cominciato questo viaggio?
Alle spalle ci sono quindici anni di inchieste sull’estrema destra italiana in tutte le sue sfaccettature. Ho iniziato a raccontare questo mondo dalle curve degli stadi italiani (penso a Verona, per esempio) composte anche da gruppi di ultrà fascisti, e poi da manifestazioni, raduni, piazze. Infiltrarmi in certi ambienti, entrare nelle pieghe delle cose, è un modo efficace per fare ciò che per me descrive al meglio il lavoro di giornalista: disincagliare da fondali poco illuminati un fenomeno, per riportarlo alla luce e consentire al maggior numero di persone possibile di comprenderlo. Gli ultimi anni hanno fornito spunti interessantissimi: da qui l’idea di approfondire alcune storie e realizzare nuove inchieste, di raccontare retroscena e racchiudere il tutto in “NazItalia”. Per la pubblicazione, però, era necessario attendere l’esito delle elezioni politiche del 4 marzo, dalle quali è emerso con chiarezza un tassello fondamentale del mio viaggio: il successo del “fascioleghismo”, ovvero la saldatura tra la Lega sovranista e l’estrema destra italiana».
Cos’è successo negli ultimi anni?
«In tutta Europa è tornato a soffiare con forza un vento nero: lo abbiamo visto soprattutto nei paesi del blocco di Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Slovacchia) ma è evidente anche in Germania, in Francia, in Svezia, in Belgio, o in Grecia. In Italia, oltre all’ascesa di tanti gruppi neofascisti, il “fascioleghismo” - a cui dedico la prima, ampia parte del mio libro, risultato di un’operazione politica portata avanti con grande astuzia e intelligenza da Matteo Salvini - ha avuto tanto successo da arrivare al Governo».
Procediamo per tappe…
«Salvini ha raccolto un partito - la Lega Nord - praticamente defunto, e lo ha resuscitato con innegabili meriti politici. Per risollevarlo ha deciso di trasformarlo nel suo esatto opposto. Via il “nord” dal nome, la “Padania” e la “secessione” non sono più gli obiettivi del partito: i valori di riferimento sono esattamente il contrario di federalismo, autonomia e indipendenza dell’Italia settentrionale. Dal verde padano - ormai sepolto - si è passati al blu di Trump: ora la Lega è un partito nazionale, nazionalista, centralista, prende i voti al Sud, più di tutto tiene ai confini dello Stato italiano. E naturalmente è xenofobo: riversa livore e disperazione sociale contro gli immigrati. È un partito che cavalca le paure della gente e fa propaganda populista. Come le formazioni di estrema destra. Il modello è quello del Front National di Marine Le Pen in Francia, Paese da dove passano i finanziamenti che partiti neofascisti, ultranazionalisti e antieuropeisti del Vecchio Continente hanno ricevuto dalla Russia».
E dove si inserisce il fascismo in tutto questo?
«Salvini ha avuto la capacità di capire che quel vento nero di cui parlavo stava cominciando a soffiare anche in Italia, dove la destra (dopo lo scioglimento di Alleanza nazionale) non aveva più casa. Per questo ha deciso di spiegare le vele per catturare quel vento e fare in modo che portasse la sua Lega sempre più al largo. Le formazioni più rappresentative del neofascismo italiano - le più visibili e attive rispetto ad una galassia di piccole sigle - sono CasaPound, Forza Nuova e Lealtà Azione. Le prime due sono organizzazioni politiche al pari di tutte le altre; la terza (Lealtà Azione), non ancora. Tra i modelli ispiratori ci sono generali delle SS e leader ultranazionalisti del ‘900. Il nemico comune è lo straniero e l’immigrato (non mancano condanne per aggressioni e pestaggi, né collegamenti con la malavita organizzata). Salvini comincia a strizzare l’occhio a questo mondo, a stringere legami con i suoi protagonisti, il suo elettorato».
Come?
«Quattro anni fa Lega e CasaPound erano alleate. Hanno fatto anche manifestazioni insieme, a Milano e a Roma nel 2014 - 2015 contro l’ “invasione” degli immigrati. Poi l’alleanza si è rotta, ma il legame si è mantenuto. Salvini scippa senza problemi la parola d’ordine di CasaPound: il motto “prima gli italiani” non se l’è inventato lui, era lo slogan di CasaPound! Nelle liste di “Noi con Salvini” al Sud vengono inseriti diversi nomi di esponenti dell’estrema destra e al Nord, soprattutto in Lombardia, c’è un asse con Lealtà Azione. Il rapporto con queste realtà è coltivato con contatti e confronti frequenti, con linee d’azioni convergenti, sostegno e riconoscimento reciproco. Tornano le parole chiave della nazione, dei confini, della chiusura. È tutto alla luce del sole, sia ben chiaro. La frase mussoliniana “tanti nemici, tanto onore” postata su Facebook da Salvini il 29 luglio, genetliaco di Mussolini, ne è la prova. Così come lo sono i selfie dello stesso Salvini a cena con i dirigenti di CasaPound, o insieme al gestore della spiaggia fascista Punta Canna di Chioggia - che ho raccontato a luglio 2017 - “arredata” con cartelli inneggianti al duce e alle camere a gas. Lo è anche il mostrarsi spesso con magliette di brand di imprenditori che ne hanno fatto un vero marchio di appartenenza utilizzato dai fascisti di mezza Europa. Se ti presenti con una giacca di questi marchi in tribuna d’onore allo Stadio Olimpico di Roma, il luogo più paparazzato d’Italia, è un segno evidente che vuoi lanciare un messaggio di vicinanza a quel mondo. Salvini lo ha fatto il 9 maggio indossando il giubbino d’ordinanza di CasaPound. Ultima tappa a settembre, con l’adesione della Lega a “The Movement”, il movimento di Steve Bannon (uno degli artefici della vittoria elettorale di Donald Trump) che riunisce ultranazionalisti, antieuropeisti, xenofobi in tutto il continente europeo».
Quindi Salvini è fascista?
«Io non credo che sia geneticamente fascista. Lo dico con sincerità. Ci gioca per opportunismo politico: è una cosa diversa, e molto pericolosa. Minimizza il fenomeno: definisce solo “quattro ragazzi” gli skinheads che hanno interrotto con tipico metodo squadrista una riunione di “Como senza Frontiere”, la rete di volontari che assistono i migranti a Como».
Al di là di Salvini, molti sostengono che episodi simili - così come i saluti romani, o l’utilizzo di simboli fascisti - siano solo folklore e non costituiscano un pericolo reale.
«L’atteggiamento più rischioso è proprio questo: minimizzare, ridurlo a mero folklore. Insieme all’indifferenza, che come dice Liliana Segre (ex deportata ad Auschwitz ed ora senatrice a vita, ndr) può fare più paura dell’odio. Come apice di un processo in corso da tempo, negli ultimi anni il fascismo - che la Costituzione vieta espressamente di rievocare e  promuovere - è di fatto stato sdoganato. Prima nel dibattito pubblico, poi nella politica e ora al governo. Spesso viene derubricato come “libera espressione del pensiero”, altre come fenomeno innocuo: l’opinione pubblica non si indigna più di fronte all’esibizione dei simboli fascisti, non vengono più condannate senza se e senza ma le aggressioni e le sprangate agli immigrati colpiti in quanto tali. Liliana Segre ha ricordato in una presentazione pubblica del libro che non è che prima il fascismo non ci fosse: ma i tempi non erano maturi perché si mostrasse pubblicamente così come lo vediamo oggi. Ora ha trovato terreno fertile per tornare a crescere: c’entrano la situazione sociale ed economica del Paese, e il vuoto lasciato colpevolmente da altri, sinistra in primis. Ecco perché dico che l’Italia si è riscoperta fascista quasi a sua insaputa: ha sottovalutato il pericolo, non si è accorta di aver sdoganato qualcosa che normale non è. Anche se, certo: il fascismo non è più quello del Ventennio, Fez e camicia nera. È un’altra cosa».
Come si presenta il “fascismo del terzo millennio”?
«È un fascismo liquido, subdolo, che attecchisce soprattutto nelle periferie. Ai margini delle grandi città CasaPound, di nuovo, distribuisce pacchi alimentari agli italiani poveri. Le ultime esperienze sono quelle di medici che offrono test gratuiti agli anziani nei gazebo posti per strada. Zone dove lo Stato non arriva, o arriva molto in ritardo. Dove la sinistra ha lasciato un vuoto, così come la Chiesa. Ed ecco che allora arriva un fascismo vicino agli ultimi, che garantisce quello che si può chiamare “welfare nero”. È un fascismo che vuole farsi Stato, sostituirsi ad esso, e questo è l’aspetto più preoccupante. Lo si vede anche con il fenomeno delle ronde sulle spiagge, sui treni, nei parchi. Non può essere considerato “normale” vedere, in colonie estive organizzate da gruppi di estrema destra per bambini italiani di famiglie povere, alzabandiera, marcette, l’insegnamento dei colori del “cromatismo ariano” (il bianco il rosso e il nero utilizzati nella svastica e, non a caso, nel simbolo dei principali gruppi neofascisti citati). Oppure feste organizzate da parte di gruppi dichiaratamente neonazisti per ricordare l’anniversario della nascita di Hitler, così come concerti nazi-rock in diverse città d’Italia. Eppure questi eventi negli ultimi anni si sono moltiplicati».
Fin dove si spingerà questo processo?
«Un passaggio-chiave saranno le elezioni europee di maggio, dove l’estrema destra in tutta Europa sarà protagonista. In questo scenario il governo populista-sovranista italiano troverà ulteriore spinta e linfa vitale. Vedo il rischio di uno scivolamento della nostra democrazia verso una deriva autoritaria, sul modello di paesi come Russia e Turchia: tutti i segnali, purtroppo, dicono che stiamo andando in quella direzione».
Raccontare tutto questo ha avuto conseguenze anche sulla sua libertà personale…
«È il segno che nel raccontare il neofascismo italiano non ero un visionario, ma ho colto nel segno, descrivendo una tendenza pericolosa. Tecnicamente non ho una scorta fissa, ma il Comitato per l’Ordine e la Sicurezza di Bergamo - questura e prefettura - a marzo 2017 hanno disposto una tutela nei miei confronti. Consiste in un servizio di controllo e vigilanza della mia abitazione e in un servizio d’ordine con polizia, Digos e carabinieri quando partecipo a eventi pubblici. È  successo dopo una lunga scia di minacce e atti intimidatori contro di me, aumentati dopo la pubblicazione del libro».
Minacce che hanno condizionato la sua vita?
«No, se non in minima parte. C’era bisogno di raccontare la crescita preoccupante di questi movimenti nazifascisti: continuerò a farlo. Di fronte alle intimidazioni non arretro di un millimetro.  Le considero una prova che ho fatto bene il mio lavoro e ho colpito nel segno. Credo che noi giornalisti dobbiamo interpretare il nostro mestiere anche con un impegno civile. E in Italia, nonostante tutto, possiamo dirci fortunati. Quando provano a intimidirmi - alla Feltrinelli di Padova hanno persino fatto irruzione durante la presentazione di “NazItalia” - il mio pensiero va ai colleghi che in altri Paesi rischiano la vita per ogni nome che scrivono o per un aggettivo fuori posto. Succede in Russia, in Turchia, in Messico, in Corea del Nord: esattamente quei regimi autoritari in cui non voglio che si trasformi l’Italia». Daniele Cavalli


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