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«Garantire il rispetto dei diritti umani e lottare contro il terrorismo è la stessa cosa»

settembre 2021

Giulio Terzi di Sant’Agata, bergamasco d’origine, è stato Ministro degli Affari Esteri della Repubblica Italiana dal novembre 2011 al marzo 2013. Oltre ad aver conseguito l’incarico di Direttore Politico alla Farnesina, è stato anche Ambasciatore d’Italia a Washington ed in Israele e Rappresentante Permanente d’Italia presso le Nazioni Unite a New York, dove ha guidato la delegazione italiana al Consiglio di Sicurezza nella fase conclusiva del biennio 2007-2008. La sicurezza internazionale e la tutela dei diritti umani sono le tematiche che più gli stanno a cuore.

Ambasciatore Terzi abbiamo sempre pensato che, dopo i primi sanguinosi anni della missione in Afghanistan, i nostri soldati fossero rimasti in quel Paese per scopi umanitari: per garantire sicurezza e protezione ad una popolazione impaurita e soggiogata dai talebani, dediti alla costruzione di infrastrutture, impegnati ad addestrare uomini per la tutela della sicurezza ma, soprattutto, che fossero lì per far sì che quella civiltà di tipo medioevale transitasse in una società più moderna capace di garantire a tutti i cittadini i diritti più elementari. Ora scopriamo dal Presidente americano Biden che lo scopo principale era quello di debellare il terrorismo che aveva raggiunto il suo apice l’11/9/2001 con la distruzione delle Torri Gemelle di New York. Ci può spiegare quali erano i veri obiettivi della missione?
Questa è una questione interessante. Cinque giorni dopo la caduta delle Torri Gemelle, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU votò all’unanimità per una risoluzione antiterroristica a tutto campo. Inoltre, il Consiglio Atlantico Bruxelles-Nato ha stabilito che l’attacco contro l’America facesse scattare l’art. 5 dell’Alleanza (cosa mai successa fino ad allora). Da lì è partito questo impegno, il Consiglio di Sicurezza, infatti, incaricò di mandare in Afghanistan una forza multinazionale per contrastare il terrorismo. Garantire il rispetto dei diritti umani e lottare contro il terrorismo è la stessa cosa: le discriminazioni, la persecuzione delle minoranze ed i genocidi sono minacce gravi alla sicurezza internazionale.

Dopo l’abbandono dell’Afghanistan da parte della coalizione internazionale, quale ruolo potrebbero svolgere l’Unione europea, la Nato e l’Italia in un tentativo di mediazione e democratizzazione del Paese asiatico? L’ONU potrebbe anche decidere come risoluzione l’invio di truppe con funzione di vigilanza nel mantenimento della legalità ed il rispetto delle regole civili per la popolazione afghana, indicendo anche delle elezioni costituzionali in quel Paese?
L’Unione Europea fa grandi dichiarazioni e cerca di mettere in atto azioni diplomatiche però, è sempre più chiaro, ormai da dieci anni a questa parte, che una diplomazia senza forza non serve a niente. Basti pensare alla sostanziale differenza riguardo al PIL speso per la difesa che, in Europa, ha una media ben al di sotto del 2%, in Italia e Germania, per esempio, si aggira intorno al 1%, a confronto di quello americano che è circa il 4,5%. Per quanto riguarda l’ONU, si può dire che tuteli prevalentemente gli interessi dei 5 membri permanenti: Cina, Francia, Regno Unito, Stati Uniti e Unione Sovietica.

Dopo i russi, gli americani, la Nato, all’orizzonte del Afghanistan appare la Cina. I recenti contatti dei Talebani con il Governo cinese danno il via libera a nuovi trattati commerciali con il gigante asiatico che, senza sparare una pallottola, è pronto a sfruttare le immense ricchezze naturali dell’Afghanistan. Secondo la Sua esperienza diplomatica, questa collaborazione con i cinesi garantirà benessere al paese?
La Cina non è proprio uno degli Stati più evoluti per quanto riguarda la tutela dei diritti umani a livello mondiale. Quanto sta accadendo in Afghanistan può segnare l’inizio di una nuova situazione a livello mondiale, grazie ad una nuova intesa tra Cina e mondo musulmano, dettata da nuovi business in cui sono coinvolti anche i talebani e l’Iran. Non dimentichiamo che gli interessi cinesi in Afghanistan sono molteplici, tra questi si pensi alla ferrovia che collega la Cina alla Turchia e che attraversa gran parte dell’Asia.

L’accordo di Doha del 2020 siglato dall’Amministrazione americana Trump e dai Talebani prevedeva, in cambio del ritiro dei soldati americani, che i Talebani accettassero tre condizioni: 1. Dichiarazione di cessate il fuoco; 2. Impegno a combattere il terrorismo sul territorio afghano; 3. L’avvio di una trattativa con il governo di Kabul. Al momento sembra che nessuna di queste condizioni siano state garantite. Ci descriva a breve linee come è possibile che la situazione afghana sia precipitata in così breve tempo e perché le nazioni lì presenti da 20 anni non hanno saputo gestire al meglio il ritiro delle truppe e la messa in sicurezza di tutti i collaboratori afghani.
Quando è iniziata la presidenza Biden il futuro dell’accordo di Doha era molto incerto, è anche avvenuto un intenso dibattito tra Pentagono e Casa Bianca a riguardo. Fin quando il 1° maggio il Presidente ha annunciato pubblicamente che gli Americani si sarebbero ritirati entro l’11 settembre e questo è stato l’inizio della fine. La cosa che sorprende è che tutto l’apparato militare non sia riuscito a fare da contrappeso all’ansia politica di portare avanti quest’operazione per motivi di politica interna, tenendo anche in considerazione il fatto che Biden ha sempre affermato che gli interventi militari dovessero esser fatti il meno possibile e di seguito a comprovati rischi diretti. Il ritiro delle forze armate statunitensi dall’Afghanistan ha provocato un calo della difesa del territorio afghano e la perdita di uno spazio di diritti e di libertà faticosamente conquistate.

Al Nuovo Emirato Islamico servirà tempo per organizzare il Paese. Sarà in grado di garantire quanto promesso, ad esempio sul controllo del terrorismo, visti i recenti attacchi terroristici del 26 agosto che è costata la vita a diversi cittadini afghani e a decine di soldati americani?
I talebani hanno garantito che non ci sarebbero stati attacchi terroristici, ma la promessa è durata ben poco visto ciò che è capitato l’altro giorno (26 agostro, ndr.). Quello dei talebani è un Islam oscuro che distrugge le possibilità di sviluppo socio-economico. La nuova realtà che si è insediata purtroppo segnerà un arretramento fatto di abusi, sofferenze e un’incalcolabile perdita di vite umane, a cui l’Occidente, che si è profondamente impegnato per venti anni nella tutela di quel territorio, non può e non deve rimanere indifferente.

Lei ha sempre detto che i diritti umani sono universali, indivisibili e non negoziabili. Ci si augura quindi che l’Emirato Islamico abbia come obiettivo primario quello di garantire ad ogni cittadino la salvaguardia di quei dritti che per noi occidentali sembrano scontati. Parlo ad esempio dell’istruzione scolastica estesa a tutti, senza distinzione di genere, della libertà di opinione e della libertà in generale. In modo particolare mi riferisco alla tutela dei diritti delle donne che dopo vent’anni di speranza rischiano di ritornare ai tempi bui del passato. In che modo gli Stati che hanno partecipato alla missione, Italia compresa, possono incidere diplomaticamente al raggiungimento di questo obiettivo?
Questo è il momento in cui l’Unione Europea può e deve esercitare la sua massima influenza politico- diplomatica per garantire i risultati in materia di diritti umani, soprattutto per quanto riguarda i diritti delle donne che hanno finalmente vissuto anni di relativo progresso verso l’inclusione e la pace. Spero che la Presidente Ursula Von Der Leyen ed il Presidente Charles Michel pongano al centro l’intermediazione con i talebani e con i nuovi attori emergenti (Russia e Cina) per la tutela dei diritti fondamentali. Ilaria De Luca


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