Personaggi
«Pasticciera e imprenditrice per amore della biologia»
I ricordi legati alla sua infanzia sono di matrice olfattiva, più che visiva: su tutti, l’odore di arancia candita che si sprigionava in casa quando il papà – soprattutto a dicembre - tornava dal lavoro e appendeva all’ingresso gli abiti che indossava in laboratorio. Persino le sue scarpe sapevano di arancia candita, burro e vaniglia: e, quel profumo, si propagava in tutta la casa.
È normale se tuo padre si chiama Iginio Massari - il più grande pasticciere d’Italia - e il suo panettone è considerato, da sempre, il più buono del Paese. Così prelibato che, per soddisfare l’incessante domanda, ormai viene prodotto e venduto dodici mesi l‘anno («Confesso che io sono “team pandoro”: papà sostiene che, chi preferisce il pandoro, è rimasto bambino dentro», aggiunge lei).
Lei è Debora Massari: laurea in Scienze e tecnologie alimentari, master in Biochimica, Maestra APEI (Ambasciatori pasticcieri d’eccellenza italiana), docente di branding della Business School de “Il Sole 24 Ore”, tra le cento donne più influenti d’Italia per “Forbes”, nonché corresponsabile (con Nicola) dell’area Ricerca e Sviluppo del marchio Iginio Massari Alta Pasticceria, di sono co-fondatori.
Quando entrò in azienda, nel 2000, la “Pasticceria Veneto” era già il fiore all’occhiello del Paese, in quanto a qualità, ma si trattava di una realtà di 30 dipendenti. Oggi, grazie alle intuizioni pionieristiche di Debora (che sottolinea a più riprese come il merito non sia soltanto suo, ma di tutta la squadra, in primis della sinergia con il fratello, Nicola, responsabile dei processi produttivi e ideatore di diversi brevetti nel campo delle tecnologie alimentari), annovera 250 persone a libro paga.
Alla faccia della figlia di papà: lei per dieci anni, pur lavorando nell’azienda di famiglia, è stata inquadrata come operaia di quinto livello.
«Ho fatto di tutto: magazzino, bancone e, soprattutto, il bar, perché secondo mio padre è solo quando hai la gente in coda ad aspettare il caffè e il cappuccino che ti svegli davvero, sia a livello di testa, che di manualità».
Eppure, vantava una laurea in scienze alimentari e un master in biochimica.
«Da neoassunta chiesi a papà quanto tempo ci avrei messo per conoscere bene i lievitati. La sua risposta mi spiazzò: “Sette anni”, sentenziò. Aveva ragione: perché di anni ne sono passati 24, ma non ho mai smesso di studiare. La pasticceria è un incrocio tra la chimica, la fisica, la biologia e la microbiologia: è una scienza. Le variabili esterne sono sempre molte: penso al cambiamento climatico, o alle piogge acide; la farina, ad esempio, può sviluppare più o meno la parte proteica, a seconda della temperatura. Ne consegue un continuo ritarare gli strumenti e le celle».
Nel 2009 – nonostante l’avversione di Iginio – apriste i vostri i profili social.
«Erano nati per spingere i prodotti e la figura del maestro, ma ero sommersa da richieste di utenti che desideravano acquistare i nostri dolci, senza necessariamente venire a Brescia, poiché vivevano a centinaia di chilometri di distanza».
Così, nel 2014, nacque lo shop online: il primo, nel settore della pasticceria tricolore.
«Al punto che è toccato a noi studiare e proporre delle soluzioni alle ditte specializzate in packaging, perché loro non sapevano che pesci pigliare. C’è stato un lavoro enorme, a monte: lo shop online è un altro negozio. Abbiamo dovuto capire cosa potesse essere spedito, o meno, considerando anche la shelf life e la stagionalità. Papà era molto legato alla denominazione “Pasticceria Veneto”: è modesto, non voleva che comparisse il suo nome. È stato arduo convincerlo ad aggiungere quel “by Iginio Massari” che avrebbe condotto, poco alla volta, al rebranding».
Nel 2020, in pieno lockdown, in molti hanno trovato consolazione nel vostro e-shop.
«In quell’anno le vendite dell’online hanno avuto un’impennata senza precedenti: il problema, però, si è posto a livello di produzione, perché - tra chi era malato e chi terrorizzato dal contrarre questo virus letale – potevamo contare su poca forza lavoro. Io e mio fratello abbiamo fatto dei turni massacranti: era Pasqua, ci arrivavano ordini di colombe da tutta Italia. Capitava che ci concedessimo delle piccole sieste in laboratorio, per continuare ad infornare».
Nel 2017 ha aperto i battenti il punto vendita di Milano.
«Fortemente voluto da me e mio fratello. Una volta realizzato che la pasticceria di Brescia non riusciva più a supportare le richieste dello shop online e del negozio meneghino, abbiamo creato un nuovo laboratorio, a ridosso del casello di Brescia ovest».
Oggi – oltre ai tanti pop up sparsi per l’Italia – contate sei pasticcerie.
«Nel 2018 è entrata una compagine sociale di minoranza e abbiamo aperto a Torino, Verona, Firenze e Roma. Siamo una struttura piramidale, con un Consiglio di Amministrazione – del quale facciamo parte io, mio padre, mio fratello e i due soci di minoranza - un amministratore delegato e i dirigenti dei vari reparti. Posso ribadire un concetto?».
Prego.
«Quel che siamo diventati non è farina del mio sacco: senza una squadra, non si va da nessuna parte. Io, da sola, avrei concluso ben poco. Concedetemi un paragone - piuttosto eloquente - con la mia grande passione, ovvero il tennis: sport individuale per eccellenza. Eppure, il trionfo di un giocatore è frutto dell’impegno suo, ma anche del suo team: del coach, del preparatore atletico, del fisioterapista. Lo stesso è avvenuto per “Iginio Massari Alta Pasticceria”».
Mentre contribuiva alla crescita esponenziale della società, ha messo al mondo due figli, Pietro e Lorenzo e Pietro, di 17 e 13 anni.
«Le mie notti duravano mediamente quattro ore: stampavo bollettini fino all’1 e, alle 5, ero già in magazzino a impaccare gli ordini da spedire. Fortunatamente, ho sempre potuto contare sul sostegno di mio marito».
Nemmeno suo padre è un gran dormiglione: si alza alle 2.30 del mattino.
«Io mi sveglio ogni due ore; spesso, nel sonno, mi vengono delle belle idee. Vado a letto rimuginando, non riesco mai a staccare davvero. Perciò faccio tanto sport: mi permette di eliminare un po’ di stress».
Negli anni in cui entrò in azienda, andava di moda la dieta a zona: così, lei sottopose a suo padre delle nuove ricette di dolci, formulate proprio seguendo la celebre proporzione 40-30-30 (ovvero la percentuale di carboidrati, proteine e grassi). Lui rispose picche. In quell’istante si è pentita di non aver studiato Medicina?
«Ero molto indecisa tra Medicina e Biologia, fino a quando non ho incontrato una persona fondamentale, per il mio cammino: la mia insegnante di Biologia al liceo, la professoressa Marchini. Ha fatto sì che la biologia diventasse parte della mia vita, che la amassi. Quando, a 16 anni, iniziammo a studiare la cellula prima, i lieviti poi, chiesi a mio padre se potessi scendere nel suo laboratorio, per osservare il famoso lievito madre. Era legato: quando lo aprì, andò ovunque, perché aveva sprigionato un sacco di anidride carbonica. Ecco: assistere a quell’esplosione, fu illuminante. Da quel momento, iniziai a vedere la pasticceria con occhi diversi. Fino ad allora, per me, il lavoro di papà era il pasticcino che vedevo esposto al bancone. Invece, capì che dietro c’era molto altro: e che la pasticceria era una scienza».
Se le sue intuizioni hanno portato all’espansione del brand, non va dimenticata l’altra donna fondamentale nella storia di Iginio Massari: sua madre, la signora Maria.
«L’idea iniziale di papà, quando si mise in proprio, nel 1971, era di avviare la pasticceria e, successivamente, venderla. In effetti, dopo soli due anni dall’apertura, era quella più in voga a Brescia. Andarono dal notaio per cedere l’attività, ma mamma scoppiò a piangere, perché non voleva separarsi dalla sua creatura! Ormai va per gli 80 anni, eppure ne dimostra 50: lavora dodici ore al giorno, occupandosi di tutta la parte amministrativa e del negozio; sta in cassa, alla vendita: fa qualsiasi cosa, pur di non rimanere con le mani in mano. La prendo in giro e le dico che, ormai, fa parte del mobilio della “Pasticceria Veneto”».
Quando Iginio e Maria si sposarono, lui si scordò di preparare la torta. Al suo matrimonio è andata meglio?
«Era indispettito, perché io e mio marito abbiamo deciso di sposarci il 29 di dicembre: per chi fa il nostro mestiere è il periodo più caotico dell’anno. Per di più, volevo una torta di nozze diversa da quelle tradizionali, su più piani, a simboleggiare l’infinito. Ho gusti minimal, lineari, pertanto desideravo una torta semplice, su un piano, bianca, impreziosita giusto da qualche fiorellino. È stato un braccio di ferro, ma alla fine ha ceduto e mi ha accontentata».
Attualmente, il 58% della vostra forza lavoro è di sesso femminile.
«Credo fortemente nella meritocrazia, a prescindere dal sesso. Mi rendo conto che, ai tempi in cui cominciò mio padre, la pasticceria richiedeva anche una forza fisica che ora non è più necessaria, grazie all’ausilio della tecnologia: oggi, ad esempio, disponiamo di sollevatori e ribaltatori».
Quale è il suo dolce preferito, tra le vostre trecento e passa referenze di prodotto?
«Impazzisco per la nostra millefoglie con crema chantilly allo zabaione».
Prima o poi i bergamaschi potranno godere delle leccornie di Iginio Massari, senza necessariamente spostarsi a Brescia o Milano?
«Di fatto, tutti i nostri punti vendita sono stati aperti seguendo i flussi del turismo; Bergamo e Brescia sono diventate mete realmente turistiche in seguito all’anno da Capitali della Cultura, quindi recentemente. Un’apertura futura? Non precludo nulla».
Rossella Martinelli