Territorio
«M1lle» Storie e sapori da 10 e lode
Lo ha chiamato M1lle: come il numero di storie che potrebbe raccontare.
La prima, potrebbe iniziare così: «C’era una volta un ragazzotto fresco di diploma all’alberghiero di San Pellegrino, che sognava di lavorare nella cucina del più grande di tutti: lo tormentò al punto che ci riuscì, prendendolo per sfinimento».
Oppure. «C’era una volta un cuoco che era stato ribattezzato “Speedy fish”, perché a cucinare il pesce era il più veloce di tutti: volle che quel pesciolino fiammeggiante venisse ricamato sul suo grembiule». O «C’era una volta uno chef che lavorò per 32 anni da un tre stelle Michelin e proprio lì conobbe la sua principessa: si sposarono ed ebbero due figlie». Poi «C’era una volta un marito astemio, che voleva trascorrere le vacanze sugli sci, o in riva al mare. Ma la moglie lo costrinse a intraprendere un tour enogastronomico della Champagne, dal quale tornò così innamorato delle bollicine da prendere in considerazione una pazza idea». Infine «C’era una volta un uomo che seguì quel folle sogno e aprì un ristorante: il suo. Lo chiamò “Mille, storie e sapori”, perché a tutti i clienti avrebbe potuto narrare le mille storie passate che lo avevano condotto fin lì; all’insegna di un solo motto: “va’ dove ti porta il sapore”».
L’INCONTRO CON VITTORIO
Nel 2012 le bollicine (e il sapore) hanno portato Paolo Stefanetti, classe 1963, al civico 18 di viale Papa Giovanni XXIII: a due passi da quel «Da Vittorio» dove è cresciuto, umanamente e professionalmente. «Era l’inizio degli anni Ottanta e lavoravo già in questo viale, all’«Antico ristorante del Moro». Il mio obiettivo era specializzarmi nel pesce: pertanto decisi di fare la stagione in Sicilia; ben presto, però, mi accorsi che Bergamo poteva vantare un pescato di gran lunga più fresco: merito di Giovanni Cacciolo, fondatore dell’«Orobica pesca», il cui nome da metà degli anni Sessanta è indissolubilmente legato all’eccellenza ittica. Un uomo intelligente e una gran brava persona: mi ha subito dato fiducia per il mio locale. Vittorio Cerea era colui che, meglio di chiunque, sapeva sublimare quella superba materia prima - nonché tutte le altre - in piatti sopraffini. Ogni santo giorno, finito il turno, bussavo alla sua porta per chiedergli se cercasse aiuto in cucina. Quando mi vedeva arrivare, mi canzonava: “L’è amò ché”. Finché, un pomeriggio, mi accolse diversamente: “Dai, va bene: ti assumo, mi hai preso per sfinimento”.
Quanti ricordi! Acquistavamo fino a quattro granchi reali a settimana. Era un uomo geniale, costantemente orientato a migliorarsi: fu il primo a intuire il potenziale di certe varietà - oggi rinomate - in momenti in cui nessuno le prendeva in considerazione; penso al dotto, o al “black cod”. Entrare nella sua brigata, significava diventare parte di quella meravigliosa famiglia: quante vacanze con loro, a Laigueglia! O nelle cucine più famose dell’Europa, a seguire corsi di perfezionamento insieme a Chicco e Bobo. Fu lì che conobbi mia moglie, Paola, nipote della signora Bruna».
IL VIAGGIO IN CHAMPAGNE E ALSAZIA
Paolo - caso più unico che raro, per la sua professione - era totalmente astemio. «Un enorme limite: uno chef deve sapere quale vino abbinare a una tal pietanza. Nel 2009 mia moglie mi costrinse a fare un viaggio in Francia, tra Champagne e Alsazia. Protestai - preferivo andare a asciare - ma alla fine mi adeguai. Ricordo esattamente ciò che provai quando assaggiai il primo bicchiere di vino della mia vita: un Gewürztraminer, fresco e buono. Mi dissi: “Non hai mai capito niente!”. Tornato a casa, recuperai il tempo perso: mi iscrissi a un corso di sommelier (il primo di tanti) e conobbi Italo Castelletti».
Inizia a balenargli per la testa una pazza idea. «Nei miei tanti viaggi alla scoperta di vini e sapori, avevo realizzato che a Bergamo mancava un bistrot: un luogo informale - nel quale presentarsi anche in tuta - aperto sette giorni su sette, con vini e cucina di qualità, funzionante dopo la mezzanotte. Perché non crearne uno? Cominciai a guardarmi intorno, benché fossi estremamente combattuto. Abbandonare la famiglia Cerea, dopo 32 anni insieme, si tradusse in un mese di pianti. Ma quando mi informarono che si era liberato un locale proprio in viale Papa Giovanni, lo interpretai come un segnale».
«ENOTAVOLA D’ITALIA 2018» PER LA GUIDA L’ESPRESSO
Inaugurato il 1 dicembre 2012 - per una curiosa coincidenza, compleanno di Stefanetti - in appena cinque anni «M1lle storie e sapori» è stato insignito di alcuni tra i più prestigiosi premi: Krug Ambassade, punto d’affezione FIVI (Federazione italiana vignaioli indipendenti), segnalazione sulla guida Michelin, membro dell’alleanza dei cuochi Slow Food e, infine, «Enotavola 2018» per la guida de «L’Espresso». Merito, anche, dell’aver messo in pratica la lezione del suo maestro: solo materie prime eccellenti. Ne è un esempio il “Pollo ruspante in cocotte”: «Bastano un filo di olio, sale e rosmarino: è da leccarsi le dita. Inizialmente temevo che la mia cucina fosse troppo semplice, ma oggi posso affermare che è proprio quello il valore aggiunto: perché significa avere come presupposto ingredienti superbi». Tipo il culatello di Zibello selezione Spigaroli, le acciughe del Cantabrico o la battuta di Fassona. E - postilla che conquisterà i vegetariani, bistrattati nella maggior parte dei ristoranti - il menù contempla ben sette portate per loro. «Sarà che mia figlia è vegetariana e sto iniziando ad andare pure io in quella direzione: di recente ho cenato al “Joia” di Lehman ed è stata un’esperienza incredibile».
Perché, mai dimenticarlo, l’ospite - a prescindere dal palato - deve sentirsi a casa, stare bene. Anche quello - conclude nostalgico - glielo insegnò Vittorio. «Mi piace intrattenere chi varca la soglia del mio locale, parlare di tutto». E, perché no, raccontare anche la storia di quell’uomo astemio, che si formò presso il più grande di tutti e un giorno, innamoratosi del vino, aprì un suo locale. E visse per sempre felice e contento. (rm)