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Remuzzi: «Il virus? Avrà vita più dura in Italia che altrove»
Covid 19: da mesi, ormai, non si parla d’altro. La situazione sta senz’altro prendendo una piega meno drammatica, i contagi e i ricoveri in terapia intensiva diminuiscono, il lavoro lentamente riprende. Ma la ferita resta aperta per tante famiglie. Domande e paure restano tante: cosa succederà adesso? I sacrifici che abbiamo fatto sono serviti? Cosa ci riserva il futuro? Abbiamo cercato di sciogliere alcuni di questi nodi con il professor Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri.
Recentemente lei e altri colleghi, tra cui il prof. Zangrillo, avete espresso una posizione piuttosto ottimistica, sostenendo che la carica virale del Covid vada esaurendosi…
Sono stato il primo ad assumere questa posizione, e peraltro l’ho fatto in maniera piuttosto sommessa, onde evitare che questo potesse dare adito ad interpretazioni errate da parte del pubblico. Ho parlato, tuttavia, più che del virus in se stesso, di una effettiva diminuzione dei casi di malattia grave. Zangrillo si è spinto ad aggiungere che clinicamente il virus sia morto, ma a dire la verità non ne sappiamo più di tanto. Sappiamo per certo che non ci siano più malati gravi, e perché? Innanzitutto hanno funzionato le protezioni adottate: mascherine, distanze e igiene hanno portato effettivamente a una diminuzione della quantità di virus con cui veniamo a contatto quotidianamente. In secondo luogo, le pandemie hanno un loro ciclo che le porta fisiologicamente ad esaurirsi, come avvenuto per la SARS. In terzo luogo, il virus muta. La maggior parte delle mutazioni sono neutre o sfavorevoli all’uomo, ma ci vorrà un arco di tempo assai lungo per osservarle. Frenerei gli entusiasmi, dato che proprio le misure di sicurezza di cui parlavo hanno sicuramente portato a un miglioramento, e il fatto che questo miglioramento sia visibile incoraggia la popolazione a continuare ad applicarle.
È possibile che, proprio vista l’estrema mutevolezza del Covid 19, parlare di un vaccino efficace sia utopistico?
Esistono tre ceppi del virus: mediorientale, europeo e statunitense. Per quanto riguarda il nostro Paese, in Italia l’epidemia si manifesta in tre modi diversi: quello delle regioni attualmente a zero contagi è diverso da quello della Lombardia o del Piemonte. L’impressione è che l’epidemia sia chiaramente diversa nelle tre aree d’Italia: curiosamente, quando è stata dichiarata la chiusura della Lombardia, abbiamo visto fughe di massa verso il Sud e ciononostante alcune regioni non hanno registrato contagi. E non penso questo sia dovuto a differenze nel comportamento della gente: vedo la stessa attenzione a Milano come a Roma o a Napoli, la maggior parte, ma non tutti, sono attenti a quello che fanno. L’epidemia dipende da tanti tipi di interazione: con ambiente, natura, cibo, genetica. Tenere conto di tutte queste variabili è estremamente complesso. Detto questo, il virus rimarrà con noi per alcuni anni e quindi sarà comunque importante avere il vaccino, che sarà presto disponibile. Siamo comunque vicini, stando ai dati sierologici, ad un’immunità di comunità che si aggira tra il 50 e il 60%, pertanto sempre più persone sono attualmente venute a contatto con il virus. Non sappiamo, tuttavia, quanto duri la copertura anticorpale.
Secondo il sindaco Gori, il problema principale nella mappatura del virus sta nella carenza di tamponi. Crede nell’efficacia della mappatura a tappeto?
I tamponi purtroppo registrano tanti falsi positivi e falsi negativi, oltre ad essere suscettibili di errore umano. Il tampone ha dei limiti e non ha senso farlo a 60 milioni di italiani, comportando una massiccia mobilitazione del SSN, oltre alle risorse per i tamponi stessi e per il reagente. Va fatto allo scopo di circoscrivere e tracciare l’epidemia, e questo avrebbe avuto senso fin da febbraio-marzo, ad esempio nelle RSA, nei lavori a contatto con il pubblico e per gli operatori sanitari. Questi sono i gruppi a maggiore rischio di cluster di contagio.
Che provvedimenti è ragionevole adottare per la riapertura in particolare delle scuole?
Le scuole hanno riaperto ovunque tranne che da noi, e moltissimi studi dimostrano che i bambini hanno molto più da perdere da un lockdown prolungato che dalla riapertura delle scuole. Chiaramente si corre qualche rischio, ma in maniera limitata. Uno studio francese dimostra che i bambini fino agli 8 anni molto difficilmente contraggono il virus. L’infettività sale fino ai 15 anni e successivamente diventa uguale a quella degli adulti. A mio parere, per quanto riguarda i bambini sarebbe sufficiente adottare poche elementari precauzioni: mascherine, igiene personale. Lo stesso rilevamento della temperatura, in assenza di contatto, con l’innalzarsi delle temperature diventa poco utile.
Quanto sono attendibili le previsioni di una possibile seconda ondata in autunno?
La seconda ondata era già stata prevista per giugno e, ad oggi, scaramanzia permettendo, non si è palesata. Detto questo, tutti i virus della famiglia Corona hanno andamento stagionale, resta quindi possibile una ripresa dell’epidemia tra autunno e inverno, ma a livello di immunità di comunità saremo comunque maggiormente protetti. Sarebbe importante fare il vaccino influenzale, soprattutto per gli ultrasessantenni e persone recentemente dimesse dall’ospedale, più fragili. Temo di più una combinazione di Covid, influenza ed esposizione ad altre forme virali che il Coronavirus in sé. Sicuramente, dopo questa esperienza, saremo preparati e non rifaremo gli errori fin qui commessi.
Esiste un’emergenza sanitaria corollaria al Coronavirus?
La pandemia dei pazienti non COVID: i pazienti affetti da altre patologie non riconducibili al Coronavirus che non hanno potuto essere seguiti al meglio in questa situazione di emergenza. Inoltre, occorre monitorare attentamente i sintomi di chi ha sviluppato il virus in forma grave e che potrebbe avere conseguenze a lungo termine a livello renale, respiratorio e cerebrale.
Il suo messaggio per i bergamaschi?
Siamo stati i primi ad essere colpiti, nella forma più violenta, da questo virus; siamo stati anche i primi ad uscirne. Con questo virus, come ho detto, dovremo imparare a convivere, ma se continueremo ad applicare le regole come abbiamo fatto, il Covid farà molta fatica a circolare di nuovo da noi con tanta virulenza.