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Associazione Gioiosa, a Monterosso alla scoperta della «scuola dell’anima»

settembre 2018

Sono arrivati addirittura dagli Stati Uniti per studiarne il metodo: impressionata, la delegazione di docenti e ricercatori provenienti da un ateneo texano, ha messo nero su bianco che quella casetta piccina e variopinta (progettata dall’architetto Giuseppe Pizzigoni), nascosta dalle alte siepi che la separano da viale Giulio Cesare, si meritasse l’appellativo di «Scuola dell’anima».
Tra i cardini l’ascolto - anzi l’ascoltazione, ovvero la capacità di mettersi in contatto con la parte più intima e silente dell’individuo, attraverso un lavoro di autoeducazione - di ognuna delle componenti della triade educativa: i bambini, le maestre e i genitori, coinvolti in un processo di continua formazione, che ben si riassume nel principio di “educarsi per educare”.
Da dieci anni Marco Blumer è presidente dell’«Associazione Autonoma Nuova Educazione Gioiosa»: nata a Bergamo nel 1992 (replicando un’analoga realtà già esistente  a Milano) dal desiderio di parecchi genitori di istituire un ambiente nel quale la cultura fosse intesa come formazione di sé, nonché immagine vivificatrice per la propria esistenza, prendendo come premessa gli scritti di Tullio Castellani, fondatore di Centro Coscienza (un polo culturale presente anche a Bergamo).
Cosa differenzia Gioiosa dalle altre scuole dell’infanzia?
«Ci muove il desiderio di riuscire a tirar fuori da ogni bambino le sue qualità portanti, affinché diventi un adulto capace di esprimersi al meglio. Per questo la cultura riveste un ruolo educativo fondamentale: attraverso le immagini simboliche, per via analogica, il bambino ha l’opportunità di dare voce al suo mondo interiore, di conoscersi e di manifestarsi, valorizzando il ruolo educativo dei genitori».
Nelle scuole materne pubbliche il rapporto numerico è di una maestra ogni 29 bambini. In Gioiosa, al contrario, è di una ogni 10 - 12 bambini. Una differenza abissale.
«Ma non è che una conseguenza del metodo che applichiamo: con numeri maggiori, sarebbe impraticabile l’ascoltazione».
Ascoltazione?
«Educare non è una scienza, ma un’arte creativa che chiama l’educatore ad ascoltare, cogliere e decodificare la natura unica ed originale di ogni bambino, al fine di favorirne la completa manifestazione di sé, promuovendo e rinforzando la sua unicità. L’educatore deve cogliere la “storia originale” che ogni piccino ha dentro, affinché la possa raccontare e manifestare. Un’osservazione approfondita permette alle maestre l’assegnazione dei “compiti a sviluppo”: piccoli incarichi - come apparecchiare la tavola, distribuire i cuoricini e via dicendo - il cui scopo è consentire al bambino di provarsi nel rapporto con gli altri. Al contempo, l’insegnante riesce a cogliere le sue qualitò portanti».
Cosa sono i cuoricini?
«Sono dei cuori di stoffa che ogni genitore realizza con il proprio bambino: un contenitore di amore e di forza, quasi sacro, - capace di lenire la nostalgia per l’assenza della mamma e del papà - che i piccini si appendono orgogliosamente al collo all’inizio di ogni giornata, durante il “rito dei cuoricini”, in seguito al quale parte l’attività didattica. Il secondo e il terzo anno, invece, indossano dei talismani».
Parlate spesso di triade: cosa rappresenta?
«È il rapporto alla base di Gioiosa: ogni bambino è unico e irripetibile, come lo sono i suoi bisogni di crescita e per questo è fondamentale la triade, intesa come un dialogo e confronto costante tra la scuola e la famiglia, per promuovere un progetto educativo su ogni bambino e per ogni bambino, poiché ognuno è diverso. Una famiglia è compartecipe e corresponsabile dei processi educativi attuati: non semplice interlocutore, bensì attore protagonista».
Come partecipano i genitori?
In Gioiosa le mamme e i papà sono partecipi - e coinvolti - in ciò che avviene: oltre ai cinque colloqui collettivi annuali - e ai tre individuali - alcuni hanno costituito un gruppo teatro (che ogni anno, a Carnevale, si cimenta con una nuova pièce per i bambini della scuola d’infanzia) e altri curano un giornalino, “Note di Gioiosa”. A loro sono rivolti anche una serie di incontri serali, per approfondire tematiche pedagogiche».
Quali sono, invece, le attività per i bambini?
«Psicomotricità, vita della natura, coltivazione dell’orto, musica e inglese, che abbiamo ulteriormente potenziato a partire da quest’anno scolastico. Ogni giorno, alle 16.30, c’è un post scuola integrativo: multisport, judo, ceramica, teatro. Punto di partenza per la comunicazione è il linguaggio della fiaba, capace di fare da specchio al loro mondo interiore, fatto di forti emozioni, slanci e paure. Ad accompagnare i più grandicelli attraverso le differenti tappe del processo educativo sono invece i miti, così come l’esplorazione delle civiltà primitive. Su tutte, quella Camuna».
Una curiosità: perché avete scelto di chiamarvi “Gioiosa”?
«Un omaggio a Vittorino da Feltre, precettore dei Gonzaga, nonché più noto pedagogo dell’Umanesimo. Già nel Quattrocento predicava che la didattica non potesse prescindere dal mettere al centro uno sviluppo armonico del bambino. Il suo metodo sfociò nella costituzione di una scuola-convitto che attirò giovani menti da tutta Europa: la chiamò Ca’ Gioiosa».
Per informazioni: 035/361110 www.gioiosabergamo.it

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