Territorio
Ospedale in Fiera
Un reportage di Bergamo Economia Magazine documenta la straordinaria attività che i nostri “eroi in corsia”, impersonificati in medici, infermieri, operatori sanitari e operatori tecnico-logistici, stanno nuovamente svolgendo per salvare le vite umane da questo terribile virus nel Presidio medico avanzato alla Fiera di Bergamo. Un emblema dell’operosità e solidarietà bergamasca, gestito dall’ASST Papa Giovanni XXIII e supportato logisticamente dal Gruppo Intervento Medico Chirurgico Sanità Alpina-Associazione Nazionale degli Alpini (GIMCA-ANA). È stato Oliviero Valoti, direttore sanitario della struttura, affiancato da Luigi Daleffe, coordinatore infermieristico e figura altrettanto essenziale, ad accompagnarci tra i posti letto delle terapie intensive e dei reparti di medio-bassa intensità di cura (ovviamente utilizzando tutte le precauzioni necessarie).
Come è nata l’idea di questo Ospedale in Fiera?
A fine febbraio mi sono ammalato di Covid e durante il periodo di malattia ho continuato a pensare a quali progetti proporre per contribuire a contrastare l’emergenza pandemica in atto. In quei giorni mi sono confrontato con diversi interlocutori fra cui alcuni funzionari di Regione Lombardia, nel contempo, anche tramite Protezione Civile, è emersa la proposta da parte di GIMCA-ANA di “schierare” il loro Ospedale da Campo nell’Ente Fiera di Bergamo. Con l’aggravarsi dell’emergenza è stato dato il nulla osta all’ASST Papa Giovanni XXIII, da cui dipendiamo, per organizzare una struttura che potesse accogliere ciò che stiamo facendo adesso qui. Il presidio è stato allestito in dieci giorni grazie alla generosità di numerosi donatori e volontari, lavorando ininterrottamente in un contesto operativo di emergenza sanitaria totale. In fase progettuale organizzativa e gestionale, abbiamo potuto contare sul contributo e la competenza di personale messo a disposizione oltre che dalla nostra ASST Papa Giovanni XXIII anche da AREU, IRCCS Policlinico di Milano, EMERGENCY Ong Onlus, GIMCA-ANA, CESVI e Confartigianato Bergamo insieme a tanti volontari della Curva Nord dell’Atalanta. La Protezione Civile ci ha messi nella condizione di poter reclutare il personale sanitario, attraverso bandi nazionali di emergenza. Grazie ad una iniziativa della Presidenza del Consiglio dei Ministri è stata inviata a supporto della Fiera di Bergamo e del territorio bergamasco (per sanificazioni ambientali) un contingente di sanitari esperti militari della Federazione Russa che ha collaborato con le nostre Forze Armate, dando un contributo essenziale.
Che contributi avete avuto dai lavoratori bergamaschi per la realizzazione?
Il contributo delle ditte e degli artigiani bergamaschi si può descrivere con una sola parola: fondamentale. Senza di loro, il Presidio medico avanzato in Fiera non avrebbe mai visto la luce in tempi così rapidi. Hanno lavorato a qualsiasi ora del giorno e della notte correndo all’interno del padiglione e costruito strutture ed impiantistiche a regola d’arte, è stato grazie a loro se si è riusciti a completare un progetto così grande ed importante in un tempo veramente contenuto.
Come viene divisa la struttura al suo interno? Che tipi di servizi offrite, oltre ai reparti Covid?
Allo stato attuale il Presidio medico offre una capienza fino ad un massimo di 48 posti letto di terapia intensiva, suddivisa in 4 moduli con 12 posti letto ognuno, due dei quali gestiti appunto dal Papa Giovanni XXIII (settori A e B) ed i restanti dagli Spedali Civili di Brescia (settore C e D). Riguardo ai posti letto di media-bassa intensità di cura invece sono stati previsti 30 posti letto, da attivare gradualmente in base alle necessità, e potenzialmente ampliabili fino a 50 posti. Medici, infermieri, responsabili e coordinatori di riferimento provengono invece da entrambe le province con il costante supporto logistico GIMCA - ANA. Superata la prima drammatica fase dell’emergenza della scorsa primavera, il Presidio medico in Fiera si è rivelato versatile e flessibile per altre necessità sempre legate al Covid. è stata allestita una struttura poliambulatoriale (12 ambulatori polispecialistici), per attività di follow-up dedicata ai pazienti covid guariti. è tuttora presente uno spazio per eseguire i tamponi (per le scuole e per gli utenti del territorio) e per la somministrazione delle vaccinazioni anti-influenzali per i pazienti fragili.
Quanti pazienti sono attualmente ricoverati? Quali sono le categorie più a rischio.
Ad oggi, 7 dicembre, le persone ricoverate sono 25 in terapia intensiva e 5 nel settore di medio-bassa intensità. Al momento l’età media dei degenti qui è di 71 anni, le categorie più a rischio sono sicuramente gli anziani e coloro che hanno patologie correlate, ma non è sempre la regola, ci sono delle eccezioni, purtroppo si sono ammalati gravemente anche giovani di 30/40 anni e per un breve periodo c’è stato al Papa Giovanni anche un ragazzo di 16 anni.
Quali tipi di cura utilizzate attualmente, dopo aver affrontato la prima ondata, per combattere il Covid?
Una delle poche certezze che abbiamo è il fatto che le terapie devono essere somministrate con precocità per evitare l’aggravarsi della sintomatologia.La problematica maggiore della prima fase pandemica è stata la grande quantità di popolazione colpita contemporaneamente dalla malattia che non ha consentito al servizio sanitario regionale di poter raggiungere le persone con i soccorsi e le terapie in tempi opportuni, in qualsiasi ambito, dai medici di famiglia fino alle strutture ospedaliere. Molti sono morti in casa in una situazione di forte stress per tutto il sistema dell’emergenza-urgenza regionale. Non esistono terapie antivirali orientate alla distruzione del virus, finora i farmaci che hanno mostrato maggiore efficacia sono quelli che servono a prevenire e curare le conseguenze del Covid, ad esempio i cortisonici e l’eparina a basso peso molecolare.
A fine estate si è parlato di carica virale minore. Lei concorda con questa affermazione? Rispetto a marzo che differenze avete riscontrato nei pazienti Covid?
Io non concordo assolutamente, ovviamente questi aspetti non fanno parte della mia preparazione scientifica, siccome sono specialista in anestesia e rianimazione e non in virologia, ma credo che tutti coloro che hanno affermato che la carica virale fosse diminuita, nonostante siano grandi esperti che professionalmente rispetto, siano stati imprudenti a dire ciò, hanno così indotto le persone ad abbassare la guardia proprio nel momento in cui ce n’era più bisogno. Basandomi sui degenti di entrambe le ondate, posso infatti sostenere che i pazienti di adesso hanno sintomi della stessa gravità di quelli di marzo, quello che è cambiato ed ha evitato tante morti è stata la precocità nelle terapie.
I pazienti gravi affetti da Covid-19 potrebbero subire danni permanenti, per esempio ai polmoni?
Purtroppo la cronicizzazione della malattia è un dato di fatto, lo affermano tutti gli pneumologi che in estate hanno studiato con follow-up parecchi dei pazienti guariti. In futuro, secondo me, avremo a che fare con un numero importante di disabilità respiratorie perché molti tra i dimessi hanno in parte bisogno di ossigeno domiciliare, e temo che non riusciranno mai più a farne a meno, altri invece hanno dovuto fare i conti con una minore prestanza fisica.
Invece cosa succede ai pazienti asintomatici?
I pazienti asintomatici, lo dice la parola stessa, non presentano appunto sintomi, quindi non avranno alcun tipo di problematica futura legata al sistema respiratorio. L’idea che in tanti, tra cui me, si sono fatti è che probabilmente la carica virale che ha aggredito questi pazienti asintomatici fosse talmente bassa da non poter oltrepassare le barriere del suo sistema immunitario, il problema però è che essi hanno comunque contratto il virus e, di conseguenza, possono trasmetterlo.
Quali sono i protocolli che una persona che sospetta di aver contratto il Covid-19 deve seguire?
C’è molta confusione generale a seguito dei continui cambiamenti delle normative. Una persona che sospetta di aver contratto il Covid-19 o che dimostra sintomi riconducibili al virus, in primis deve rimanere a casa per evitare contatti e non deve assolutamente recarsi al pronto soccorso, dovrà infatti contattare telefonicamente il proprio medico di famiglia che potrà prescrivere un tampone oppure chiamare il 112 o il numero verde regionale a seconda delle necessità.
Messaggio d’incoraggiamento per Bergamo.
Il messaggio più bello è quello che abbiamo coniato proprio qui a Bergamo durante la prima ondata: “Mola mia”. Una cosa che mi ha dato un po’ di tranquillità è aver visto che nella bergamasca, in questa seconda fase, il Covid non ci ha colpiti così massivamente come la prima. La mia sensazione personale, anche se per il momento non è avvalorata da pubblicazioni scientifiche, è che il virus stia colpendo meno in quest’altra ondata proprio perché è circolato molto in primavera e questo ha garantito una sorta di immunità nella popolazione bergamasca. I nostri sforzi ora sono infatti rivolti a curare tutti quei pazienti che provengono da altre aree della Regione Lombardia, ad ora più colpite rispetto a noi. Ilaria De Luca