Territorio
Giacinto Giambellini
Giacinto Giambellini, presidente Confartigianato, è stato in prima linea nella realizzazione dell’ospedale in Fiera, ormai icona di questo anno surreale. Con lui analizziamo le prospettive future, lasciando però anche che i ricordi scivolino a quei pochi, incredibili giorni in cui lo spirito di lottatori dei bergamaschi, uniti per una causa, è venuto fuori.
Pres. Giambellini, come si sta svolgendo per le imprese questo secondo lockdown?
Potrei dire che si sta svolgendo senza paracadute. Mi spiego: la vera problematica di ogni imprenditore, ora come ora, è dare ad altri risposte e certezze che in questo momento non ha nemmeno lui in prima persona. Ovviamente tutti confidiamo nel buon senso di tutti, in primis di chi ci sta governando, e riconosciamo gli sforzi fatti per contenere la pandemia e tenere unito il Paese. Vediamo però che non è così facile. Il solo fatto che l’altalenanza dei numeri all’interno di una stessa settimana apra degli scenari completamente diversi rende bene l’idea di cosa significhi essere imprenditore in questo momento. Soprattutto se si considera che fino a pochi mesi fa ci era sempre stato suggerito di internazionalizzare, mentre ora stiamo ritornando al punto zero.
Quali sono state le imprese più colpite nel settore artigiano?
Pur sembrando strano, anche l’artigianato ha la sua quota nelle attività commerciali, ad esempio nelle pizzerie d’asporto e take away. Il settore più colpito è stato probabilmente quello del trasporto ricreativo, che si occupa principalmente di gite scolastiche o per centri anziani, ormai completamente fermi da febbraio. Poi tutto l’indotto che gira intorno all’aeroporto: Orio è uno degli hub più importanti a livello europeo e in questi mesi viaggiando per lavoro l’ho visto quasi vuoto. Una situazione non facile da assimilare.
Il sistema Ristori ha funzionato, nella sua ottica, o ci sono state criticità?
A parte i primi quindici giorni, devo dire che l’operatività c’è stata, fermo restando che è stata una goccia in un oceano, e semmai ha dato un contributo di resilienza alle imprese. Il problema grosso, adesso, è anche che la gente è preoccupata e spende meno.
Nella malaugurata eventualità di una terza ondata, cosa si sentirebbe di chiedere al governo in fatto di misure di protezione delle imprese, alla luce di quello che non ha funzionato in questi mesi?
Ce ne sarebbero, ma mi limito a dire: azzeramento delle tasse. Le scadenze fiscali di questo periodo non sono state annullate ma semplicemente posticipate, e adesso molti di noi si trovano in difficoltà proprio per l’accumulo di impegni verso lo Stato, i fornitori e via dicendo. A questo si aggiunge il fatto che temo che il 2021 non sarà un anno di grande respiro a livello economico. Occorre veramente concentrarsi su quello che è necessario per le imprese, oltre che per le persone.
Avete avuto un ruolo di primo piano nella realizzazione dell’ospedale in Fiera.
A parte la grandiosità della struttura, quello che è sconvolgente e che non si riesce bene a cogliere se non lo si è vissuto in prima persona, è stato il fatto che la macchina si sia messa in moto in meno di 24 ore, chiaramente anche aiutati dal fatto che tutti i lavoratori fossero a casa e a disposizione… La cosa è nata così: sono stato sollecitato dai miei associati di Confartigianato ad agire. Ho quindi mandato un messaggio al sindaco Gori che mi ha immediatamente messo in contatto con il generale Tonarelli, responsabile della logistica da campo degli Alpini, attualmente in pensione. Dal giovedì al sabato, sono tornato a sollecitarlo offrendo il nostro aiuto. Il lunedì ci hanno richiesto una dozzina di persone per lavorare due notti. Io, che organizzo cantieri anche all’estero, ho valutato con lui il progetto, che inizialmente, nei piani, prevedeva circa una settimana di lavoro. Oltre seicento volontari hanno lavorato ininterrottamente per realizzare la struttura, per un totale di 30.000 ore lavorative, che equivale, per dare un’idea, a un cantiere di 15/18 persone al lavoro per circa un anno.
L’ospedale attualmente è pronto a gestire di nuovo grandi numeri, anche se da noi l’epidemia è al momento contenuta? Potrebbe ad esempio essere sfruttato come punto vaccini?
I materiali e i macchinari sono interamente riutilizzabili. Io, fosse per me, adibirei la struttura a punto vaccinale, ma è anche vero che sono coinvolti anche altri attori, legati all’ente Fiera, che di per sé non navigano in acque particolarmente tranquille. La Fiera ha bisogno di una progettualità importante, non si può improvvisare. Si dovranno avere anche delle garanzie per quando il polo fieristico tornerà alla sua funzione originaria, ci auguriamo presto.
Che futuro si prospetta per le nostre Pmi? Il quadro non sembra incoraggiante.
Prévert diceva che abbiamo il dovere di essere felici, se non altro per dare l’esempio. Il nostro compito è quello di avere la barra ben salda e avere una visione in prospettiva più rosea di quella attuale. Certo dobbiamo essere anche realisti e pazienti, e la pazienza è virtù ormai rara. D’altra parte, però, dobbiamo anche avere statisti capaci, non politici.
Che ricordo ha del primo lockdown? Come avete reagito alle notizie che arrivavano e come siete giunti alla decisione di concorrere alla realizzazione di quest’opera?
Al di là delle storie incredibili che potrei raccontare, dei tanti artigiani e imprenditori che hanno contribuito gratuitamente senza pensarci due volte, mi piace rispondere leggendovi un passo di “Tempo di Iop: Intranet of people” del giornalista Filippo Poletti, che contiene come case study proprio la mia testimonianza di questa realizzazione record. «Come stai Giaci? Insomma, sono un Leone in gabbia e mi sto annoiando» Questo è uno dei messaggi che ricevevo la domenica sera da amici sapendo che ero solo e isolato a casa a Bergamo, mentre Chiara, la mia compagna, era pure sola e isolata ma a Bruxelles, e cercava di darmi conforto. Eravamo da poco confinati e il giorno dopo sarei dovuto andare a chiudere con mio nipote Daniele l’ultimo cantiere ancora attivo, perché il virus maledetto non accennava a dare segni di cedimento. Non potevo immaginare che esattamente 24 ore dopo la mia vita e quella di tanti sarebbe stata stravolta da questo cantiere, quello dell’ospedale Covid in fiera a Bergamo.
(…) «C’era da correre. Il tempo stringeva. La nostra gente moriva».
Detto fatto, in poche ore la macchina organizzativa della Confartigianato Bergamo si è attivata. La mia segretaria Stefania ha raccolto le adesioni entusiaste di centinaia di artigiani che si sono da subito messi in gioco, probabilmente anche perché le loro aziende erano ferme causa Covid. (…) Non immaginavano ancora che di tempo per dormire non ne avremmo avuto molto.
Mio nipote Daniele, il mio braccio destro, sin da subito mi ha affiancato per organizzare i nostri.
Erano le 19 di lunedì sera quando i primi 12 di noi sono entrati in uno spazio vuoto di 6.000 m2. Un disegno ancora incompleto e tanta forza di volontà. Non più di 3 ore dopo mi dissero che se fossimo rimasti solo in 12 non ce l’avremmo mai fatta. Io sapevo e risposi: «Tranquilli: domani mattina arrivano i rinforzi».
Da quando, alle 14:00, avevamo inviato una mail collettiva per chiedere aiuto, il telefono non aveva più smesso di squillare, e la mail di ricevere disponibilità. «Ci sono e chiamo anche un amico»; «ci siamo, siamo in tre»; «ci sono, sono un ragazzo ucraino, ma per Bergamo ci sono»; «sono un artigiano boliviano e vengo con i miei fratelli»; «arrivo con mio figlio».
In sequenza e organizzati abbiamo raccolto più di 300 adesioni di aziende artigiane che in 24 ore, tra titolari e dipendenti, hanno fatto arrivare il numero a quasi 1.000 volontari.
Alcune aziende hanno portato anche 10 dipendenti. E poi i consorzi di idraulici, elettricisti, imprese di pulizie e così via, addirittura i pasticceri hanno voluto dare il loro contributo. La mattina alle 6:00 avevamo dato appuntamento a 120 persone, con attrezzatura e dispositivi di protezione individuale. I primi 12, che avevano lavorato tutta la notte, li accoglievano e spiegavano alle varie squadre cosa fare. Nessuno dei primi 12 voleva andare a casa: erano all’opera già da 20 ore, ma non volevano smettere. Nessuno fiatava, nessuna polemica, solo l’obiettivo di finire entro una settimana.
Il secondo gruppo di altri 120 artigiani aveva appuntamento per le 14:00, ma neanche il primo gruppo voleva andarsene.
Allucinante: eravamo in una sorta di oblio lavorativo, che non si ripeterà mai più. Io personalmente non riuscivo a dormire, non ho praticamente chiuso occhio per 5 notti. Solo sabato mattina, quando mi sono reso conto che ce l’avevamo fatta, ho iniziato a rilassarmi.
Complici anche i video che tutte le sere postavo, ormai molti sapevano chi ero e perché chiamavo. Era sufficiente che al telefono facessi il mio nome e la risposta era: «Cosa vi serve?» I messaggi sul mio cellulare erano cambiati, non più «come stai?» ma «forza ragazzi, siete la nostra speranza».
Ecco, senza rendercene nemmeno conto siamo stati un messaggio concreto di speranza e forza.
Il fatto stesso che il canto “la gente come noi non molla mai”, mutuato dalle curve calcistiche sia diventato anche l’inno degli artigiani del Covid, ha fatto comprendere che tutti tifavano per noi e tutti tifavano per la vita.
(…) Siamo gente concreta e veramente non abituata a stare sotto i riflettori, ma sinceramente sono convinto che ai ragazzi la cosa non sia dispiaciuta troppo. Tutte quelle immagini, tutte quelle interviste e richieste di raccontare in diretta le loro storie, in un primo tempo li hanno lasciati un poco spiazzati, ma poi è servito anche a renderli consapevoli del fatto che stavano realizzando qualcosa di unico.
Un ultimo pensiero lo voglio dedicare a chi non c’è più , ognuno di noi che era al lavoro o è anche solo passato da lì in quei giorni aveva il suo “perché”. Padri, madri, zii, fratelli, sorelle, amici, vicini di casa, e compaesani. Bergamo, più di altre città, ha sofferto la disgrazia di questa pandemia e ha dimostrato che l’unione fa la forza con i suoi medici, infermieri, alpini, volontari, giornalisti, militari, politici, e anche gli artigiani bergamaschi.
Un messaggio di incoraggiamento per Bergamo che ancora una volta ha resistito, nonostante tutto.
Ai bergamaschi dico: guardatevi dentro e riprendetevi le virtù che vi contraddistinguono, tenacia, passione, forza, amore per la propria terra, senza cadere nella trappola dell’individualismo esasperato, e chiedo ai giovani di essere partecipi della ricostruzione e del futuro. Non possiamo permetterci di realizzare cose non condivise da coloro che le porteranno avanti negli anni. Arianna Mossali