Territorio
Leo Venturelli, una vita dedicata ai bambini
I bambini? «Mettersi al loro livello, abbassarsi, curvarsi, inclinarsi, farsi piccoli. (…) Non è questo che più stanca. È piuttosto il fatto di essere obbligati ad innalzarsi fino all’altezza dei loro sentimenti».
Basterebbero i versi della poesia che ha scelto di pubblicare sul suo sito, per spiegare perché Leonello Venturelli - pioniere della pediatria di famiglia di gruppo in Italia, nonché Garante dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza per Bergamo - quattro decadi fa abbia deciso di consacrare la sua vita professionale ai più piccini.
Un’affezione sbocciata all’epoca dell’università, a Pavia, quando iniziò a frequentare il “brefotrofio”: un luogo che ospitava centinaia di minori abbandonati. «Eravamo una trentina di volontari, tra scout e studenti miei coetanei. A prendersi cura dei bisogni basici di quegli orfanelli c’erano due medici e gli infermieri: li lavavano, li nutrivano, ma avevano poco tempo per farli ridere, giocare. Pensammo di andarci noi: fu allora che capì quanto mi interessasse il mondo dell’infanzia», racconta.
Non sono bastati quarant’anni per cancellare la nota più malinconica di quell’esperienza rivelatrice: decine e decine di culle, all’interno delle quali i lattanti venivano legati tramite delle camicette dotate di nastrini sui lati, annodati alle sbarre del lettino. Uno scrupolo affinché non si catapultassero da quel talamo, che limitava enormemente la loro mobilità. Un’immagine in cui si sarebbe nuovamente imbattuto («ma a quei tempi si usava così», precisa) pochi anni dopo - precisamente nel 1976 - quando, fresco di laurea, iniziò a esercitare la professione presso la pediatria dell’ospedale di Gazzaniga. «Avevamo cinquanta posti letto - perennemente occupati - e ci si turnava in tre medici. Numeri importanti: onde evitare cadute rovinose, era prassi cingere i piccini. Fu lì che compresi di essere orientato verso una medicina più democratica: un imprinting che mi era rimasto dall’esperienza in orfanotrofio. Le rigidità degli ospedali mi stavano strette, mentre mi entusiasmavo di fronte a tutte le novità che veicolavano un’idea di medicina dai rapporti più umani; una, importante, avvenne a Treviglio: il reparto aveva aperto le porte ai genitori, il cui accesso sino a quel momento era circoscritto agli orari delle visite».
La riforma sanitaria entrata in vigore nel 1980 istituì la figura del “pediatra di base”: quattro anni più tardi, fresco di specialità in Pediatria - la seconda, dopo quella in Igiene e medicina preventiva - Venturelli abbandona il nosocomio. Negli anni Novanta intraprenderà - tra i primi in Italia - l’attività di “medico in gruppo” (costituendo, insieme ai colleghi Gianni Caso e Biancamaria Marengoni, lo studio in viale Giulio Cesare: uno dei più richiesti dalle mamme bergamasche).
Da allora è un susseguirsi di pubblicazioni scientifiche (all’incirca sessanta), libri per genitori (una decina, tra cui il leggendario e introvabile «L’enciclopedia pratica del bambino») e manuali per colleghi, docenze (in Bicocca, ma anche come formatore dell’APEG, associazione pediatri di gruppo, nonché tutor di specializzandi in pediatria) e incarichi istitituzionali (fondatore dell’Associazione Ricerca in Pediatria e della onlus Childcare worldwide, membro della Federazione Italiana Medici Pediatri, responsabile educazione alla salute e comunicazione della Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale).
GARANTE PER I DIRITTI DELL’INFANZIA E DELL’ADOLESCENZA
A fine del 2016 l’ultima, prestigiosa, nomina: quella di Garante dell’infanzia e dell’adolescenza del Comune di Bergamo. Ed è da qui, dall’ennesimo tassello di una carriera costellata di sfide, che partiamo. «Al momento dell’insediamento dichiarai che il mio obiettivo era rendere la città più a misura di bimbo: un percorso che sta procedendo, sebbene le tempistiche per la totale attuazione siano lunghe. Essere Garante e, contemporaneamente, pediatra, ha fatto inevitabilmente virare il mio interesse verso la tutela della salute: un bene che va curato e coltivato fin dai primi mesi di vita, affinché gli adulti di domani siano vitali, sani, liberi da pregiudizi e pronti a difendere l’intera società. Vigilare sull’infanzia significa porsi in una posizione di “advocacy” nei confronti dei bambini: soprattutto quelli fragili, in condizioni di povertà, disabili, ma anche migranti, minori deprivati di una vita familiare o vittime di abuso e maltrattamenti. Ad oggi mi sono mosso su tre fronti: intessendo una rete di relazioni con realtà territoriali - pubbliche e private - che gravitano intorno alla fanciullezza (e non solo). Ho incrementato i contatti a livello nazionale: partecipando a congressi pediatrici e istituendo un proficuo scambio con la garante di Milano, Anna Maria Caruso, e quella italiana, Filomena Albano. Infine, ho aperto una sezione ad hoc sul sito dell’assessorato all’Istruzione (www.bambiniegenitori.bergamo.it/garante): uno strumento di supporto per rendere visibili le iniziative e informare in merito a una serie di temi (salute, cibo, rapporti umani, stili di vita). La vera ambizione è intercettare le fasce deboli, disorientate, a cui servono molto più di 80 euro: bisogna fornire loro risposte - indicando, ad esempio, dove possano trovare nidi, biblioteche e ludoteche - ed educarli a una genitorialità consapevole. I primi mille giorni di vita - da contarsi a partire dalla gestazione - incidono in maniera determinante sullo sviluppo neuro-evolutivo e psicomotorio del bambino: è in questo periodo che si determinano e consolidano le basi per una crescita armoniosa del corpo e della mente; come è importante nutrire il proprio bimbo in modo corretto, altrettanto lo è stimolarlo dal punto di vista del linguaggio e del gioco; piazzarlo davanti alla tv o a un tablet, alla stregua di forma di babysitteraggio, significa precludergli esperienze dirette, dal vivo, e rallentare - se non inibire - il suo sviluppo neuro-relazionale».
LA NUOVA GENITORIALITÀ: TRA MAMME IPERANSIOSE, ECCESSO DI MEDICALIZZAZIONE E CELLULARI
Ogni epoca, prosegue Venturelli, presenta delle fragilità per quanto concerne la crescita della prole: se 30 anni fa l’accudimento veniva deputato frequentemente a convitti e collegi (con risvolti non sempre rosei) i genitori di oggi adoperano la tecnologia - cellulari e dintorni - come strumento di gioco e di coccole. «Congegni che sono limitanti - e talvolta inibenti - lo sviluppo del bambino. Le mamme spesso non sanno in che modo giocare con i figli e, complici i media, vivono con sospetto e angoscia il mondo esterno: a 9 anni regalano lo smartphone per poterli continuamente geolocalizzare, nell’illusione di avere tutto sotto controllo. Ma attenzione: così, si veicola un messaggio sbagliato di libertà e si creano ragazzi mammoni, spaventati. Ai miei tempi già a 7 anni si andava a scuola da soli, a piedi: certo, per strada incontravi tutti i giorni lo stesso panettiere o un parente, la zia, che avrebbero buttato un occhio per verificare che tutto procedesse per il meglio. Anche allora c’era il lupo cattivo - il guardone, l’ubriaco, il matto del paese - che ti faceva paura: eppure, ci si attrezzava per vincerla; affrontandola, non aggirandola. Ormai, se un bimbo si sbuccia le ginocchia, lo si porta subito al Pronto Soccorso nel timore che abbia contratto il tetano o che sia in pericolo: una follia! Riceviamo - io come gli altri pediatri di famiglia - chiamate di madri allarmate, che esigono un appuntamento in giornata, perché il figlio ha una minuscola macchiolina sul corpo che, guarda caso, sparisce nel giro di qualche ora, proprio quando arriva per l’accertamento! Anche i servizi di Neuropsichiatria infantile sono presi d’assalto: sommersi da richieste di visite che si rivelano spesso inutili o troppo anticipatorie. Si crea il panico per un nonnulla: basta che il bimbo ancora non parli o cammini con qualche mese di ritardo. È colpa di una società che tende a pretendere e dare risposte immediate per qualsiasi disturbo, seppur minimo: è la logica della medicalizzazione portata all’estremo. Una volta esisteva il buon senso della madre: il famoso “sesto senso”; tutt’al più, ci si confrontava con i parenti stretti. Ora sembra che qualsiasi microscopico dubbio debba essere risolto attraverso il colloquio con uno specialista: logopedisti e psicomotricisti sono molto richiesti. Io credo che debbano essere forniti gli strumenti per osservare il proprio bambino: affidando delle competenze a una genitorialità che, altrimenti, degenera in ansia; ecco perché abbiamo deciso - come Società di Pediatria Preventiva e Sociale - di avviare un’indagine su tutto il territorio nazionale basata sul coinvolgimento dei genitori che direttamente, senza l’intermediazione dei cosiddetti tecnici, osservino e successivamente agiscano per implementare lo sviluppo neuro evolutivo e del linguaggio dei loro figli mediante risposte ad un questionario sulle funzioni relazionali, linguistiche, di motricità e di gioco fino ai 6 anni: le schede di osservazione saranno distribuite dai pediatri di famiglia coinvolti in questa ricerca. Un’altra iniziativa in corso è l’aver partecipato alla stesura (con altri colleghi) di un volume utile alle famiglie per saperne di più su salute e crescita dei piccini (“Il bambino nella sua famiglia”, ndr). Con soddisfazione, il testo ha avuto il patrocino del Ministero della Salute e sono in corso accordi affinché sia distribuito a tutti i nuovi nati nella regione Campania».
Vaccini? Sì a una diffusione capillare sul territorio
C’è sempre lo zampino dell’ansia, aggiunge, nella scelta di alcune famiglie di non vaccinare i figli. «I genitori contrari all’accettazione del calendario vaccinale si suddividono in due categorie: gli esitanti e i “no vax” ideologicamente convinti, con i quali le parole non servono, perché si affidano a una letteratura scientifica che tale non è. I primi, invece, sono spaventati dagli effetti collaterali: cerco di accoglierli con i loro timori, spiegando quanto i benefici siano maggiori rispetto agli ipotetici rischi. È vero, i danni da vaccino esistono, ma fortunatamente sono rari: nella mia carriera ne ho constatati in tutto quattro importanti, tali però da non aver compromesso la vita o aver avuto sequele gravi sul sistema nervoso. I rischi da inquinamento sono più diffusi e pericolosi, ma più subdoli, non legati ad un’unica esposizione. Come l’accumulo di mercurio: presente nei pesci di grossa taglia che arrivano sulle nostre tavole, tossici per il feto. I vaccini sono importanti: è stato giusto uniformare il calendario in tutta Italia con la legge del 2017, in virtù della diversità della proposta vaccinale regione per regione. Per mia indole, avrei preferito che lo Stato si battesse per utilizzare sistemi di informazione ed educazione corretta, piuttosto che arrivare all’obbligatorietà, resasi necessaria a causa della pericolosa ondata di casi di morbillo nel 2016. Alla prova dei fatti, le ultime statistiche riferiscono un ritorno a coperture vaccinali accettabili già dopo 6 mesi dalla legge di obbligo. La memoria dei genitori di oggi è corta: poliomielite, tetano, morbillo con casi di encefalite sono realtà da me vissute in prima persona tanti anni fa, ma ripenso anche alle mie esperienze come volontario in Africa - a Capo Verde e in Costa d’Avorio - dove le madri si mettono in coda per vaccinare i figli, perché lì ancora si muore di meningite o tetano neonatale; loro sì che hanno inteso che il vaccino è vita. Ne sono fermamente convinto: i miei nipoti si sono sottoposti tutti a tutte le vaccinazioni raccomandate. Ed io pure».
L’IMPORTANZA DEI NONNI: «IL LAVORO PIÙ BELLO»
Sul ruolo di sostegno - affettivo e pratico - dei nonni, il Garante si è speso parecchio (il 33,1% dei nonni italiani - contro l’1,9% di quelli danesi - si occupa dei nipoti, prelevando 3 miliardi e mezzo di euro dalle pensioni, per sostenere quelle nuove famiglie). Del resto le due figlie gi hanno regalato ben cinque nipotini e, al solo parlarne, si illumina. «Diventare nonno è quanto di più bello esista: sarà che ho 67 anni - una fase in cui si è portati a fare dei bilanci - ma quando penso che c’è un filo rosso che congiunge i miei antenati ai miei nipoti e che dentro di loro vive un pezzetto di me, mi emoziono». Guai, però, a farsi prendere troppo dall’ansia, nonostante la doppia veste. «Anche con loro vale la clausola dell’attesa di 24 o 48 ore in caso di febbre e raffreddore: se le mie figlie mi chiedono di visitarli subito, rimando, sebbene poi il mio occhio clinico li squadri quando li incontro tra le mura domestiche. Le visite immediate, al primo segno di malessere, non hanno un buon indice di efficacia, e le medicine date solo per la supposizione di malattia non sono ben somministrate. Mi comporto alla stesso modo con i miei pazienti: in più, nel nostro staff sono presenti infermiere - da noi formate e molto competenti- che sanno fornire consigli preziosi ai genitori».
OMEOPATIA E MULTIVITAMINICI? meglio incominciare con una alimentazione energetica e naturale
Impossibile esimersi dal chiedergli se creda nei rimedi alternativi o, come sostiene il professor Garattini, l’omeopatia non sia altro che “acqua fresca”. «Di natura sono curioso: ritengo che le medicine alternative non siano da demonizzare, ma appartengano a un’area nella quale le ricerche di evidenze scientifiche siano ancora molto da implementare. Anche nella medicina tradizionale sono parecchi i farmaci che hanno evidenze scarse e abbisognano di ulteriori studi: come nel campo degli integratori, dei polivitaminici, dei probiotici. Alcuni di questi prodotti, come del resto quelli omeopatici, si rivolgono alla cura di forme morbose non ben definite o dove non esiste il farmaco efficace per eccellenza: si pensi al bambino inappetente, pallido; esclusa una vera anemia, si può ricorrere agli integratori. Spesso il risultato è che certi genitori ritornano soddisfatti delle cure e altri affermano che il bambino è sempre quello di prima: quanto agisce la medicina o quanto si può attribuire ad un effetto placebo? Vi basti sapere che dei circa diecimila farmaci presenti sugli scaffali delle farmacie, i veri salvavita e quelli con il bollino dell’EBM (medicina basata sulle evidenze scientifiche, documentate) sono circa 260! Davanti a un fanciullo che si ammala sovente e risulta inappetente - dopo averlo visitato ed escluso malattie - sa cosa prescrivo come prima scelta? Un uovo sotto forma di zabaione un giorno sì e uno no, per 20 giorni, un mese. E, ancora: uscire all’aria aperta, correre, saltare. Lo sviluppo fisico, quello immunitario, si giovano più di stimoli ambientali esterni e di sole che non di medicine».
E i bambini lo sanno che, in fondo, il dottor Venturelli li capisce meglio di chiunque altro. Lo dimostrano i tanti disegni appesi alle pareti del suo studio. «Di quanti mi sono preso cura? Impossibile contarli. Attualmente ho 940 assistiti. Dal 1976 a oggi, ho visto crescere tre generazioni. È arrivato il momento di passare il testimone a qualcun altro: ancora un paio d’anni e andrò in pensione. Credo nel ricambio generazionale e vorrei contribuire a formare nuovi colleghi».
“Grazie, dottor Venturelli: un pediatra come amico” recita uno dei dipinti, produzione corale della sezione arancioni della scuola materna di Gorle. Chissà quanti ex piccini - passati per questo ambulatorio, e ancor prima dall’ospedale di Gazzaniga e l’orfanotrofio di Pavia - vorrebbero urlare a gran voce la medesima gratitudine. Rossella Martinelli