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L’inchiostro di Dioniso scrive pagine di bellezza

febbraio 2017

“Il vino è un dono degli dèi. Ci consente di ragionare di letteratura, di bellezza e di politica; e ci aiuta a perlustrare territori intriganti. Il vino è storia di grandi epopee e immani tragedie, narrazione di esperienze immaginative e di grandi speculazioni; la storia dell’umanità intera, concentrata “magicamente” in un solo bicchiere capace di contenere, nel proprio minuscolo spazio concavo, l’infinito tutto intero. Già, perché il vino si concede a tutti senza essere mai infedele a nessuno. Non promette nulla invano; salva perché non garantisce paradisi a buon mercato. Ma costringe ognuno a prendere le misure. Sì, il vino non mente mai. Il suo demone è eros. Quello vero, immortalato da Platone nel Simposio. Sorretto dalla fragranza amorevole della vite, giunto al suo quarto libro sul vino, Massimo Donà allunga il campo. Lo fa da raffinato filosofo, oltre che da scrittore sotto al quale traspare, come una stuzzicante filigrana, l’immagine del colto bevitore. Il professore di Filosofia Teoretica presso l’Università San Raffaele di Milano firma Pensieri bacchici. Vino tra filosofia, letteratura, arte e politica, nella Collana ‘Le uova del Drago’ (prefazione di Giacomo A. Dente, edizioni Saletta dell’Uva, Caserta, pp. 144, euro 12, www.salettadelluva.it), muovendosi lungo una serie di felici meticciati e contaminazioni con territori ad alta rilevanza simbolica, che vanno dalla poesia alla politica. E poi il vino è fatto da tutti noi..., sì - scrive il filosofo che ama il jazz - “noi, tutti insieme, sempre lo facciamo; perché il vino non è mai compiuto sino a che non abbia attraversato, leggiadro, la gola assetata degli umani. Solo dove sia stato adeguatamente degustato, il vino può infatti ritrovarsi, riconoscersi e prender la parola”. Come quella trascritta da Baudelaire nelle sue mirabili invenzioni in versi. Perché il vino è davvero dotato di una propria anima; d’altro canto, in quanto caratterizzato da una natura perfettamente immateriale, esso può trasferirsi o trasmigrare senza sosta dalla sapienza del produttore alla disponibilità del bevitore. Il vino, insomma, “riflette l’essenza stessa del nostro originario costituirci come animali dotati di logos”. E aiuta a ragionare, a trovare integrazioni, come insegnavano i Romani piantando vigne ai confini delle terre conquistate. La sapienza del Tramijner. La magia dell’inchiostro di Dioniso conquista i vissuti di ogni Ulisse del tempo. Come non pensare al ‘Prosecco Superiore’ di Conegliano-Valdobbiadene quale “simbolo massimamente eloquente di quella che potrebbe essere una vita ‘serena’, disponibile, ma nello stesso tempo anche avventurosa e intensa? Un vino che nasce in terra veneta, sulle colline del trevigiano, e viene sempre più unanimemente considerato ottimale per superare la ‘pesantezza’ del vivere… capace di far salire in superficie (questo accade con ogni buon bicchiere di prosecco appena versato) le bollicine degli affanni e della gravità dell’esistenza, facendoli evaporare e consentendoci di abbandonarli, innocui, al vivificante vento delle emozioni”. Il vino è gioia, felicità, serena consapevolezza, ma anche malinconia, disperazione. Ad ogni passione - rimarca Donà - “esso offre il suo specchio rivelatore. E dunque la possibilità di trasfigurarsi; ossia, di farsi virtù anche nel peccato e nella tentazione”. Roland Barthes avrebbe sottolineato che il vino detiene poteri in apparenza plastici, poiché può servire da alibi tanto al sogno quanto alla realtà. È quindi una sostanza di conversione, capace di rovesciare situazioni e condizioni, di estrarre dagli oggetti il loro contrario. Di qui la sua vecchia eredità alchemica, il suo potere filosofale di trasmutazione e di creazione ex nihilo. Annota nella prefazione il critico enogastronomico Giacomo Dente: “Viviamo in tempi in cui si prende tutto troppo sul serio, sostituendo i simulacri della conoscenza con la conoscenza profonda. Nell’infinito rumore di fondo di chiacchiere sul vino, di una civiltà della conversazione che si è ridotta a parodia del Simposio (oggi si adora parlare a tavola di quello che si mangia a tavola, ma in maniera pedante, e nemmeno lungo il filone greve ma dionisiaco del Trimalcione di Petronio), il libro di Donà apre un orizzonte di vera profondità nel divertimento”. È parte del fascino del volume anche il rapporto dell’autore nei confronti di coloro che il vino lo producono. Guido Ceronetti aveva catalogato borgesianamente la fenomenologia di un vino nella immaginifica narrazione di Luigi Veronelli, autentico Gadda della narrazione enoica come esempio singolare di stile applicato a un soggetto non scientifico. Scrive Donà: “Dovremmo tutti provare a fare seriamente i conti con la nostra intima contraddittorietà, magari in compagnia di un buon bicchiere di vino. Una contraddittorietà che è poi la medesima intorno a cui si dipanano i ragionamenti dei più grandi filosofi da ormai più di 2.500 anni”. Come dargli torto.

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