Personaggi
LAURA ADELE FELTRI
Dice che le “sue” case - intese come quelle che seleziona e immette sul mercato immobiliare, tramite l’agenzia Casa Feltri, fondata nel 2009 insieme a Giovanni Pilenga - hanno un’anima.
Forse, perché le tante dimore in cui ha vissuto, dacché è venuta al mondo (una nascita inaspettatamente gemellare, che causò l’immediato svenimento del novello papà) sono sempre state gremite di vite, storie, incontri straordinari, pranzi durante i quali si disquisiva dei meccanismi del mondo.
Come l’arcadica cascina di Treviglio, colonizzata da galline, oche, asini, gatti: tutti ribattezzati in maniera quantomeno insolita; vedasi l’amato cavallo Miguel o il cane, Narcisa («omonima di nostra zia: babbo prendeva a prestito i nomi delle zie, per affibbiarli ai nostri animali. Io e miei fratelli - Saba, accudente ed energica, Mattia, il romantico, nonché il miglior Feltri che conosca, e Fiorenza, forte e risoluta - al rientro da scuola, trascorrevamo i pomeriggi a giocare con loro. Poi, tutti nell’orto, a raccogliere frutta e verdura», ricorda).
O la villa sulle colline della Maresana, che in estate diventava lo scenario di pantagrueliche grigliate, cui prendevano parte tutte le persone che lavoravano per papà, insieme a mogli e figli. Il piatto forte? Tonnellate di arrosticini.
E, ancora: l’infanzia in Borgo Santa Caterina, gli anni di scuola in Piazza Pontida, la giovinezza in Città Alta: «Finché ho vissuto con i miei genitori, ho cambiato domicilio innumerevoli volte. Ogni tot, babbo voleva traslocare per farci vivere in case più accoglienti».
In ognuna di quelle case, Laura Adele Feltri - un eloquio e uno standing che ricordano il leggendario padre, Vittorio - ha iniziato a scrivere la geografia e i primi capitoli del suo personale romanzo di formazione, che l’ha portata, oggi, ad essere una raffinata donna di successo.
La sede della sua agenzia, nella centrale via Cucchi, si chiama “Casa Feltri”: un cognome speso a Bergamo, dopo una lunga gavetta in provincia di Milano. Uno studio immobiliare che sa di casa: arredato in maniera accogliente, oltre che professionale, affinché chiunque varchi la soglia si senta a proprio agio.
In cosa somiglia a Vittorio?
«Per prima cosa, nell’orgoglio. Quando sono rimasta incinta, non avevo nemmeno vent’anni: ero molto innamorata e decisi di sposarmi, nonostante i miei genitori fossero refrattari e insistessero affinché continuassi a vivere con loro, offrendosi di provvedere economicamente a me e a mia figlia. Ma volevo camminare con le mie gambe: rinunciai all’università – sognavo di iscrivermi a psicologia – e, per qualche anno, feci la maestra alle elementari. L’insegnamento mi piace, tant’è che per una decade ho tenuto dei corsi, rivolti agli agenti immobiliari, alla Camera di Commercio di Bergamo».
Nient’altro?
«Come lui, sono caparbia, curiosa, stacanovista: tendo a migliorarmi, in ogni ambito, perché quello è l’esempio con cui sono cresciuta. Sono anche sarcastica: ma riscontro, sovente, che si tratta di una caratteristica tollerata maggiormente negli uomini. Gli amici, spesso mi riprendono: “Laura, basta: non tirare fuori il Vittorio che c’è in te!”».
Sicuramente, dal papà ha ereditato anche il fisico longilineo.
«Mangio poco: assaggio tutto, ma con moderazione. Sono convinta che - come sostiene babbo - si mangi anche con gli occhi. Sono cresciuta con un’ottima educazione alimentare. Mamma cucinava con ingredienti a chilometro zero e sperimentava, scegliendo ricette tipiche, regionali, estrapolate dalla sua bibbia: un enorme tomo, titolato “La grande cucina”. I cibi preconfezionati, da noi, erano banditi. Sto attenta a ciò di cui mi nutro, ma non per meri fini estetici: lo vedo come una forma di rispetto e di cura nei confronti del mio corpo. E, poi, ho deciso che voglio arrivare a 94 anni, come la mia nonna paterna, Adele: fino all’ultimo, sfoggiava delle bellissime unghie, perfettamente laccate di rosso».
L’eleganza, dunque, è un affare di famiglia.
«Se papà ha la fissa per le cravatte, la mia sono gli accessori: soprattutto i gioielli di bigiotteria, scovati nei mercatini vintage. Adoro frequentarli, perché capita di imbattersi in vere e proprie chicche».
In cosa somiglia, invece, alla sua “mamma di cuore”, Enoe Bonfanti? (la madre biologica, Maria Luisa, morì per conseguenze legate al parto, quando Laura e la gemella, Saba, avevano poco più di un anno, ndr)
«Mia mamma è nata e cresciuta in montagna: e, come la sua valle, è ruvida, ma al contempo morbida e accogliente. È saggia, presente. Ci ha sempre ripetuto che è la donna l’architrave di una famiglia: perché spetta a noi reggere gli equilibri. Con gli anni, ho capito quanta verità ci fosse in quelle parole. Da giovane era bella come una mannequin, nonché molto benestante. Si innamorò di mio padre e decise di sposarlo, nonostante le portasse in dote due gemelle da accudire. Nel giro di qualche anno, nacquero anche Mattia e Fiorenza. Per noi, mamma ha fatto un sacco di rinunce, ma una volta diventati grandicelli, si è ritagliata un ruolo professionale importante, lavorando per vent’anni a Rete 4, come direttrice dei palinsesti. È stata testimone della nascita e del boom delle TV commerciali: ancora oggi, quando ne parla, starei ad ascoltarla per ore».
Anche essere figlia di babbo Vittorio avrà comportato il privilegio di assistere alla narrazione di ciò che accadeva nel mondo, attraverso uno sguardo privilegiato.
«Non si limitava a raccontarci ciò che succedeva: ce lo spiegava. Gli anni di piombo, la caduta del Muro di Berlino, le grandi inchieste legate a Tangentopoli, il declino di Craxi: abbiamo sempre vissuto le nostre riunioni familiari come un momento di arricchimento, scambio di idee, crescita. Un esempio? Mia madre, in gioventù, era stata puericultrice. Dopo averci fornito le dritte necessarie per la gestione dei nostri bambini, aggiunse che avrebbe gradito non monopolizzassimo quei ritrovi discorrendo di pappe o pannolini: un’avvertenza che ci ha impedito di scadere nella banalità. Tutt’ora, prediligo circondarmi di persone che mi permettano di elevarmi: odio parlare del niente».
Anche lei è diventata nonna molto giovane.
«Con Alessandro non sono la classica nonna che prepara le polpette: semmai, è lui ad essere un ottimo cuoco, perché è cintura nera di carbonara! Lo porto dal dentista e alle partite di calcio, giochiamo a schizzarci d’acqua, in giardino, in estate. Cerco di essere una nonna utile e mi preme vederlo sereno. È un ragazzino molto curioso e ama seguire il bisnonno in TV: finché era piccolo, era certo che facesse l’attore, sebbene non si capacitasse di non aver mai visto nessuno dei suoi film. Ora ha 13 anni e gli è chiaro quale sia la sua professione. Di recente, ha mostrato molto interesse per l’intervista andata in onda a “Belve”: ha capito che è un grande uomo e che ha fatto la storia del giornalismo italiano. Ciò premesso, per lui rimane il nonno bis - che lo fa giocare con l’amato gatto Ciccio - sposato con la nonna bis, che gli prepara delle buonissime lasagne».
Avete l’usanza di andare a trovare i vostri genitori, a Milano, il sabato sera. Papà sostiene di non volervi tutti insieme.
«Lo dice, perché fa parte del personaggio. La realtà è che, finché abitavano in Maresana, andavamo tutti insieme, noi fratelli, e le nostre cene finivano intonando Battisti, Peppino di Capri, Arbore e De André: ”Bocca di rosa” è la nostra canzone del cuore. Da quando si sono trasferiti a Milano, ci alterniamo: ma se c’è una problematica - come accadde durante il Covid - accorriamo al completo. Siamo molto coesi».
Avete una chat di famiglia?
«Due. Una tra noi fratelli, intitolata “Vecchie ciabatte”, la cui immagine del profilo è un distributore di Moët Chandon: io sono astemia, ma loro no. Ce n’è una seconda, che include anche papà - non mamma, che non molla il suo Nokia dell’anteguerra - chiamata “Cena di Natale”, creata per una Vigilia di tanti anni fa».
Anche alla Vigilia il piatto forte è l’uovo sbattuto con Marsala?
«No: quello è pallino di mamma e papà. Di solito, ognuno prepara qualcosa e lo porta, più che altro per sgravare la mamma, che è una cuoca straordinaria e starebbe giorni interi a spadellare, nel perenne timore che non ci sia cibo a sufficienza. Anche babbo se la cava ai fornelli: cucina una pasta rossa squisita!».
Altre doti sconosciute di Vittorio Feltri?
«È un uomo di rara generosità: aiuta tutti. Gli uomini della scorta facevano a gara per diventare le sue guardie del corpo, perché ha sempre avuto rispetto per loro sia come uomini, che come professionisti. Svuota spesso gli armadi per elargire abbigliamento - e non solo - ai più bisognosi: a fare da tramite, sono alcuni amici sacerdoti. Nutre un profondo rispetto per le istituzioni religiose, pur essendo ateo: vi basti pensare che ci ha fatto frequentare scuole rette da preti e suore. Inoltre, è un medico mancato: sarà che è un filo ipocondriaco, ma conosce nomi, funzionamento e posologia di tutti i farmaci; in famiglia, abbiamo l’abitudine di mostrare a lui i referti degli esami del sangue, per chiedergli un parere e avere delucidazioni su eventuali asterischi. Infine, ha un debole per le canzoni napoletane… e quelle degli alpini!».
Ha mai provato imbarazzo per qualche presa di posizione divisiva di suo padre?
«No, semmai mi è pesato il dover fornire spiegazioni: perché il babbo ama sparigliare le carte, provocare, ma non sempre la gente riesce a capire questa sua caratteristica».
Essere figlia di Vittorio Feltri, in effetti, deve essere impegnativo.
«Confesso di aver impiegato diversi anni per far comprendere che avevo una mia identità. Venivo sempre presentata come “la figlia di”. Oggi, fortunatamente - anche grazie al mio lavoro, che mi ha permesso di raggiungere autorevolezza in ambito professionale - sono anche, e orgogliosamente, la figlia di Vittorio Feltri».
Alle ultime elezioni si fece il suo nome come potenziale candidato Sindaco della città di Bergamo, per Fratelli d’Italia. Una boutade?
«Facciamo un passo indietro: mio padre mi diede della cretina quando, nel 2023, decisi di non candidarmi in Regione insieme a lui, con Fratelli d’Italia. Di fronte a quel rifiuto, gli promisi che - appena si fosse presentata l’occasione - mi sarei impegnata per la nostra città. Alle scorse elezioni amministrative mi sono presentata in una lista civica (quella di Andrea Pezzotta, ndr): con mio padre e mia madre ci si confrontava sulla politica, su come rendere grande una città. Quindi no, non è stata una boutade della stampa: ma i miei genitori mi hanno insegnato che è necessario studiare, prima di buttarsi in qualcosa. Bisogna imparare, poco alla volta, e procedere per gradi».
Si dice che suo padre sia molto fiero di lei.
«Perché non gli ho mai chiesto favori, ma consigli. E sono diventata, come lui, genitore in giovane età: cavandomela da sola, con grande dignità. È orgoglioso, infine, del fatto che sia una professionista che gode di una buona reputazione».
Rossella Martinelli