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UN MILIONE DI PAROLE ALL'ANNO

Videogiochi per professione

novembre 2014

Villa D’Ogna. È qua, tra le montagne dell’alta val Seriana, che sono stati tradotti alcuni tra i più popolari videogiochi per PC, Facebook e console ed alcune tra le più usate app per tablet e cellulari. Si tratta di una nuova professione, “rara, complessa e stressante” che Francesca Pezzoli svolge con passione da oltre dieci anni.

Come ti hanno scelto?
Ho iniziato con un’agenzia italiana. Avevo appena terminato l’università. A quel tempo, ero iscritta in un forum on-line di traduzione amatoriale: traducevamo giochi per passione, in via non professionale. L’agenzia pubblicò un avviso: gli servivano collaboratori ed io mi feci avanti. Mi presero. Sei mesi dopo aprivo la partita Iva ed un anno dopo lo scelsi come mia professione. Ora non riesco a smettere e mi chiamano da tutto il mondo. Se potessi, continuerei ventiquattro ore su ventiquattro.

Quante ore ti impegna? Qual è la tua giornata tipo?
Dipende dal lavoro: sono una libera professionista con tutti i vantaggi e gli svantaggi del caso. Posso gestirmi il lavoro ma, alla fine, non faccio una vacanza dal 2012 (il viaggio di nozze ndr) e non posso ammalarmi. In generale, lavoro sessanta ore a settimana, giusto perché non riesco a farne di più fisicamente. Al giorno, saranno dieci - dodici ma, come detto, dipende dal lavoro da fare e dalle scadenze. In questa professione, non ci sono orari; ci sono solo scadenze e, per di più, bisogna considerare che sono due gli aspetti del mio lavoro: la traduzione ed il testing. La traduzione può esser anche svolta in più tempi ma un test no. Se devo provare un videogioco, devo farlo tutto di seguito. Non posso lasciarlo in pausa e poi riprenderlo: le partite iniziate vanno finite.

Fatturato?
Non mi lamento. Mi pagano a cottimo. Nel nostro mestiere, siamo contattati da agenzie o, più insolito, direttamente dagli sviluppatori ma stabiliamo noi i compensi che variano, a seconda del singolo professionista e del grado di esperienza e competenza, da 2 a 10 centesimi a parola tradotta e fino a venticinque euro ad ora per le prove.

Quantificando, la tua professione ti garantisce un reddito medio inferiore o superiore al reddito medio pro-capite italiano (circa 20.000 Euro)?
Superiore. Largamente superiore. Il settore è in espansione ed il lavoro non manca di certo tanto che ho dovuto cercarmi un collaboratore: si chiama Vincenzo ed è un universitario; anche lui la frequenta a Bergamo e vive in val Seriana, come me. Ma ho faticato moltissimo per trovarlo: questo lavoro non è per tutti. Ci vuole passione e competenza. Non tutti sono pronti e preparati.

Costi?
Pochi anche se ho dovuto acquistare costosi software professionali per la traduzione assistita poiché richiesti da alcune agenzie che, in caso contrario, non commissionano il lavoro. In generale, però, sono d’aiuto: mi permettono di mantenere un’alta produttività.

Cosa ti piace del tuo lavoro?
In generale, mi piacciono i videogiochi, meglio se d’auto o di ruolo, ma mi piace anche tradurre; studio lingue fin dalle superiori: prima, liceo linguistico a Clusone; poi, lingue all’Università di Bergamo e, infine, tre anni di dottorato. Devo dire che fare la localizzatrice mi appassiona.

Localizzatrice?
Sì, questo è il nome della mia professione. Tradurre videogiochi è complesso tanto che, in Italia, non siamo in molti; saremo poche centinaia. Tra l’altro, in questo mestiere è necessario avere un forte orientamento al risultato: le scadenze sono sacre; vanno rispettate, altrimenti sei fuori. In generale, l’essenza del nostro lavoro non è tanto tradurre o, meglio, non soltanto tradurre. Il localizzatore contestualizza un gioco, nato all’estero, per un determinato paese che, nel mio caso, è l’Italia. Ciò implica non solo tradurre ma anche e soprattutto un’operazione di adattamento culturale che, nel mio caso, è nove volte su dieci dall’inglese all’italiano oppure, per il restante decimo, dal tedesco all’italiano.

Ci puoi spiegare meglio?
Se il videogioco è sviluppato in inglese, nei testi, possono esserci giochi di parole o termini colloquiali o riferimenti a determinate festività che non esistono in Italia, come la festa di San Patrizio. Tutti questi riferimenti vanno contestualizzati. Poi c’è il problema dei sinonimi. Una parola inglese può avere molti significati e molte possibili traduzioni. Va cercata la migliore resa, considerando anche lo spazio disponibile. Il gioco, infatti, è sviluppato in inglese e, sulla base della lunghezza delle frasi, i programmatori strutturano, ad esempio, le misure delle icone, dei pulsanti o delle vignette. Dunque, bisogna non soltanto scegliere le parole più adatte al contesto o all’ambientazione ma anche le più adatte agli spazi programmati. Questo è il bello del mio lavoro; questa è la sfida. Mi carica pensare, magari anche di notte e durante il dormiveglia, a come rendere una certa frase per contestualizzarla al meglio. Io vivo di questo! E, poi, è bello vedere le persone giocare e divertirsi con dei giochi contestualizzati da me. Se loro non si accorgono di me e pensano sia nato in italiano, la mia missione si può dire raggiunta. Se si accorgono, no. Tra l’altro, in italiano c’è un altro problema: l’inglese non ha le desinenze di genere; l’italiano, sì.

In che senso?
Faccio un esempio. Quando in inglese appare “are you ready?”, non posso tradurlo in “sei pronto?” perché una giocatrice ci rimarrebbe male. Né posso scrivere: “Sei pronta?” o “sei pronto/a?”. La contestualizzazione comporta anche l’attenzione a questi dettagli.

Dunque, come traduci?
Magari “siamo pronti?” oppure, a seconda del gioco, con qualcosa di completamente diverso come: “Scatènati!”

Altre passioni, oltre i videogiochi?
Suono il sassofono e la chitarra acustica. In chiesa. Adoro la musica metal; metal duro. E faccio decorazione di torte: cake design.

I giochi più famosi tradotti?
Posso citare “Pro evolution soccer”, il famoso “pes” dei Club Dogo.

Quanti ne fai all’anno?
Mah, non lo so con esattezza perché sono pagata a cottimo, a seconda delle parole tradotte e delle ore giocate. In media tradurrò un milione di parole all’anno. Saranno un centinaio di giochi ogni anno.

Ma quante lingue conosci?
Inglese, tedesco e francese ed anche un po’ di giapponese: l’ho imparato perchè pensavamo di andarci in vacanza, io e mio marito, e non mi sarebbe piaciuto andare in un paese estero senza non conoscere neanche una parola della lingua locale. Alla fine, non ci siamo più andati. Causa lavoro. Sicuramente, in questo lavoro, è importante conoscere le lingue, soprattutto l’inglese scritto, ma ciò che più conta è la capacità di contestualizzare e, fondamentale, l’ottima padronanza dell’italiano.

Saresti potuta andare all’estero...
Ci sono stata all’estero. In Erasmus, a Monaco, in Germania. Allora, sognavo di insegnare italiano ai tedeschi. Poi, però, ho scelto di rimanere in Val Seriana e di fare la localizzatrice. Lavorare da casa ed in questo settore mi è congeniale. Carlo Di GregorioFrancesco Legramanti

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