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«Qualunque vaccino per qualunque variante è sempre meglio di nessun vaccino»

febbraio 2021

A poco più di un mese dall’autorizzazione dell’Ema (Agenzia europea per i medicinali) alla somministrazione del primo vaccino anti-Covid, abbiamo chiesto a riguardo un’opinione ad una delle più grandi menti scientifiche che Bergamo abbia mai avuto: il Professor Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri.
Professore, ci illustri le principali differenze nella tecnologia impiegata nei vaccini: Pfizer, Moderna e Astra Zeneca. Come funzionerà invece il vaccino italiano ReiThera?
Pfizer e Moderna utilizzano l’innovativa tecnologia dell’mRNA: l’RNA messaggero viene avvolto da uno strato lipidico ed iniettato, stimolando la formazione della proteina Spike del SARS-CoV-2 che a sua volta favorirà la produzione degli anticorpi contro il Covid-19, quindi nel caso una persona vaccinata dovesse contrarre il coronavirus, gli anticorpi riconosceranno la spike in cui si sono già imbattuti nell’attacco simulato. Astra Zeneca invece è un vaccino a vettore virale, si inietta quindi un adenovirus inerte a cui si inserisce il codice genetico del Covid-19 per la produzione della proteina Spike. ReiThera sfrutterà la medesima tecnologia di Astra Zeneca.
Quale efficacia garantiscono questi vaccini? Qual è la tecnologia migliore?
La tecnologia più nuova è quella di Pfizer e Moderna, i loro vaccini proteggono del 90-92% dopo la seconda somministrazione, invece Astra Zeneca difende del 76-82% a seguito delle due dosi, quindi sono tutti e tre ottimi. Ogni vaccino protegge comunque al 100% dallo sviluppo di infezioni gravi che portano ad ospedalizzazione e morte. Ci sono stati dibattiti riguardanti al fatto che Astra Zeneca non vada iniettato a coloro che hanno più di 55 anni, ma ciò è dettato solamente dal fatto che non è stato testato su chi aveva un’età maggiore, il 10% degli studi di fase tre ha smentito quest’ipotesi, credo infatti che sia giusta la decisione dell’Inghilterra di somministrarlo a chiunque. La presenza di patologie, a mio avviso, non dovrebbe essere una controindicazione perché è appunto chi ha altre malattie che rischia maggiormente di morire, se escludiamo queste persone rischiamo di fare il vaccino a chi ne ha meno bisogno.
Un aspetto sconosciuto è la durata degli anticorpi indotti dal vaccino, per quanto dovrebbero permanere nell’organismo?
L’idea del più grande vaccinologo del mondo, Stanley Plotkin, è che questa immunità possa durare almeno 6 mesi, come quella di coloro che hanno contratto il virus. Trascorso questo periodo c’è comunque una forte protezione nei confronti di infezioni gravi, poiché le nostre cellule della memoria ricordano per molto tempo di aver visto le proteine dal virus e se le incontrano di nuovo formano anticorpi subito.
Si è parlato di possibili reazioni avverse, anche importanti, in soggetti che hanno già sviluppato gli anticorpi al virus, al di là delle difficoltà organizzative, non sarebbe stato opportuno prevedere un test sierologico preventivo per individuare i soggetti già immunizzati?
Questo è molto difficile, perché il sierologico individua gli anticorpi che possono esserci o non esserci più perché appunto durano pochi mesi, la differenza la fanno le cellule della memoria, come dicevamo prima. Quello di cui ci stiamo accorgendo è che è bene evitare la seconda dose in chi ha già contratto il virus con sintomatologia chiara perché rischia di stare molto male, si manifestano infatti febbre alta e forti dolori muscolari, come se si avesse il virus, questo perché l’organismo riconosce la proteina Spike già memorizzata e produce gli anticorpi per attaccarla.
Dati epidemiologici alla mano, quante dosi dovranno essere somministrate per poter parlare di immunizzazione di massa?
Una risposta sicura non c’è, se ci fosse soltanto il vaccino saremmo intorno al 70%, ma in realtà ci sono tanti altri fattori, per esempio se guardiamo la provincia di Bergamo, il numero di persone che ha contratto il virus si aggira intorno a 420.000, quindi sono completamente o parzialmente protette. Inoltre c’è chi possiede un’immunità pre-esistente, cioè esiste chi ha già all’interno del proprio organismo delle cellule immuni al virus già da diversi anni, si stima il 20-30% della popolazione. Tutto ciò fa sì che, verosimilmente, sia sufficiente vaccinare il 50% per avere un certo grado di immunità.
I vaccini che ci apprestiamo a fare sono dunque sicuri? L’immunizzazione è reale o persiste la possibilità di essere contagiati e quindi di contagiare?
Sì, i vaccini sono assolutamente sicuri. Non ci si ammala vaccinandosi perché non viene iniettato il virus, bensì il suo corredo genetico. Però, ad ora, non c’è la certezza assoluta che una persona vaccinata non possa contagiare poichè il vaccino protegge dall’ammalarsi, ciò significa che, nel momento in cui si entra in contatto con il virus, l’organismo reagisce ad esse per debellarlo ma, in quell’arco di tempo, il Covid-19 è in corpo, quindi si ha probabilità teorica di trasmetterlo.
Ci sono molti dibattiti riguardanti l’eticità di un possibile passaporto vaccinale per il Covid-19, il cui vaccino però non è obbligatorio, cosa ne pensa?
In realtà il passaporto vaccinale c’è già da diversi anni, quando facciamo una vaccinazione ci viene rilasciato un libretto in cui sono annotate tutte le somministrazioni fatte fin da bambini. Per esempio, se si va in determinati luoghi, come Africa e Sud America, richiedono determinati vaccini che ti vengono chiesti in aeroporto al momento dell’arrivo. Riguardo al fatto di mandare in giro solo chi ha il vaccino non credo sia una grande soluzione, quando tutti avranno fatto il vaccino, il Covid probabilmente non ci sarà più. Inoltre, in un momento in cui soltanto l’1% della popolazione italiana ha avuto la possibilità di vaccinarsi, è decisamente prematuro pensarlo.
In cosa si diversificano le varianti di Covid-19? Sono più contagiose o mortali rispetto al virus di marzo?
Rispetto al virus di marzo le varianti presentano una mutazione della proteina Spike, come nel caso di quella inglese o brasiliana, o del suo recettore ACE2, nel caso della sudafricana, ciò le rende sicuramente più contagiose (70-30% in più) ma non è detto più letali.
C’è il rischio che queste varianti mettano a repentaglio il piano vaccinale che abbiamo tanto atteso?
C’è la possibilità che le varianti possano resistere al vaccino, è difficile capire quali varianti siano sensibili ma lo è anche individuare a quale vaccino siano meno sensibili, poichè Pfizer ed Astra Zeneca sono stati sviluppati prima della mutazione del virus. Ciò non significa che il vaccino non serva a niente, nonostante quello di AstraZeneca sembri molto meno efficace contro la variante sudafricana, anche in questo caso potrebbe proteggere dalle forme più gravi di infezione. Purtroppo certezze in questo momento non ne abbiamo. Concluderei l’intervista con una frase di un articolo pubblicato dal New York Times: “Qualunque vaccino per qualunque variante è sempre meglio di nessun vaccino”. Ilaria De Luca


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