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Premio Bergamo da 34 anni nell’Olimpo della letteratura

marzo 2018

Se chiedete a qualcuno - addetti ai lavori, scrittori, lettori - di darvi una definizione di Flavia Alborghetti, la risposta non discosterà molto da «è l’anima del Premio Bergamo». L’anima, ma anche il cuore, verrebbe da aggiungere, mentre la si ascolta raccontare - con quel contagioso entusiasmo che è un po’ il suo tratto distintivo - la cinquina di titoli finalisti dell’edizione in corso (la trentaquattresima), in un appassionante alternarsi di flash-back e aneddoti più attuali, con i quali ripercorre i suoi tredici anni dietro le quinte del premio di narrativa che ha tenuto alto il nome della Città dei Mille nel panorama letterario nazionale.
Un concorso che, guarda il caso, nacque nel 1984 (per volontà di Sandro Seghezzi e Lucio Koblas): proprio come la figlia di Flavia, Federica, storica dell’arte. Del resto - sosteneva Einstein - la coincidenza è il modo che Dio ha di restare anonimo. A distanza di due decadi, quell’anno - che ogni bibliofilo associa immediatamente al capolavoro di Orwell - per lei si sarebbe rivelato portatore di un inaspettato parto gemellare.
Oggi, infatti, riveste il ruolo di Segretario generale e organizzativo, direttore artistico, ufficio stampa e fundraiser del concorso che ha annoverato tra i finalisti alcuni dei più noti scrittori del panorama nazionale: Aldo Busi, Alda Merini, Sebastiano Vassalli, Vincenzo Cerami, Alessandro Baricco, Sandro Veronesi, Rossana Campo, Enrico Brizzi, Niccolò Ammaniti, Tiziano Scarpa, Raul Montanari, Walter Siti (in rigoroso ordine cronologico di partecipazione).
PAROLA D’ORDINE: ONESTÀ
«Senza contare - puntualizza - i tanti emergenti passati nell’ultima decade e affermatisi di lì a poco: Giorgio Vasta, Andrea Bajani, Giorgio Falco, Franco Arminio, Laura Pariani. Merito del comitato scientifico di prim’ordine, coordinato da Marco Belpoliti e formato da Andrea Cortellessa, Angelo Guglielmi e Silvia De Laude, cui spetta il compito di decretare la cinquina: ciascuno propone un titolo di narrativa pubblicato nei ventun mesi precedenti. Il termometro della scelta è il libro stesso: indipendentemente dal fatto che un autore abbia già partecipato o vinto. Opere impegnate, persino sperimentali: mai scelte in base a interessi editoriali o per facile accondiscendenza nei confronti del lettore. Un percorso che ci ricompensa di anno in anno: a gennaio erano più di 500 le domande per entrare a far parte della giuria popolare; mi compiace constatare la crescente partecipazione da parte dei giovanissimi». (Leggi l'intervista completa nel numero di aprile)

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