PUBBLICITA'

Economia

COVER STORY

Agnelli, Calenda e Richetti insieme a sostegno delle PMI

dicembre 2017

Piccole? Per modo di dire.
Piccole, Ma Importanti, considerato che le quattro milioni di PMI (piccole e medie imprese) sono alla base del tessuto socioeconomico del nostro Paese: ogni anno generano un fatturato di 2 mila miliardi di euro, dando lavoro a 16 milioni di persone e incidendo sul 73,8 per cento del PIL.
«Dopo averlo letto, non avrete scelta: smetterete di chiamarle piccole», intima il video di lancio in apertura delle “prima” nazionale di «Piccole per modo di dire» (Fausto Lupetti editore, 164 pagine, Euro 14,90) che segna il debutto alla scrittura dell’inedita coppia formata da Paolo Agnelli - presidente dell’omonimo gruppo, nonché di Confimi Industria - e Matteo Richetti - portavoce nazionale e responsabile comunicazione del PD - intervistati dal giornalista Giancarlo Loquenzi (conduttore di «Zapping», su di Radio 1).
«Non l’ennesimo, noioso trattato sulla manifattura, ma un avvincente romanzo sociale. Troverete tutto: litigi, strette di mano e ammiccamenti. Un libro godibile, che si legge tutto d’un fiato» ha esordito Loquenzi, moderatore dell’incontro capitolino (ospitato dallo Spazio Hdrà di piazza San Lorenzo in Lucina lo scorso 12 dicembre). Di fronte a una platea gremita, i due autori si sono confrontati con un convitato eccellente: il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda.
Banditi il politichese, gli slogan accattivanti e la demagogia. A caratterizzare l’ora e un quarto di travolgente dibattito, il pragmatismo: invocato a più riprese in nome del bene dell’impresa - senza distinzione di dimensione - in un Paese in cui persiste un forte pregiudizio antindustriale. «Un rifiuto della modernità che si coglie persino negli spot televisivi: passa sempre il messaggio che “agricolo è meglio”. Dimentichiamo che l’Italia è diventata grande e ricca grazie al settore secondario», ha evidenziato il capo del Mise.
Un contraddittorio serrato, per affrontare anche verbalmente i punti nevralgici (e fragili) evidenziati per iscritto: accesso al credito, nanismo industriale, globalizzazione, costo del lavoro e dell’energia, industria 4.0.
«Fino a qualche tempo fa le PMI venivano schernite, per la logica del “piccolo non è bello”: è un successo poter sottoporre le problematiche delle quattro milioni di aziende che rappresento all’attenzione del Ministro - ha esordito trionfalmente il “Signore dell’alluminio” -. Innovazioni e industria 4.0? Ben vengano. Ma il vero scoglio è ottenere i finanziamenti dalla banche, che li negano nascondendosi dietro ai rating. Senza il credito, modernizzare è impossibile».
Quarta generazione di una storia manifatturiera che dura da 110 anni, Agnelli si è levato qualche sassolino dalla scarpa, indugiando su un concetto che - carta canta - gli sta parecchio a cuore: la tutela del Made in Italy, protagonista nelle ultime decadi di un valzer di cessioni che ha reso mitologici brand tricolori sempre più cosmopoliti sul fronte del vessillo di appartenenza. «Sarà che sono un romantico: ma mi piace vedere i marchi italiani in mano agli italiani. Nel giro di poco siamo stati espropriati di almeno un’ottantina di nomi che rappresentavano dei fiori all’occhiello: una fonte di amarezza per chi ama e crede in questa nazione. Senza contare che, spesso, i fondi stranieri delocalizzano la produzione, oppure portano in borsa le aziende rilevate e le fanno fallire».
Il sogno, quello più grande, non osa dirlo, ma è scritto nero su bianco in quello che si propone come il manifesto programmatico per il futuro delle PMI. «Il contratto unico della manifattura: non so cosa ne penserà la politica, ma io lo farò, poi andrò in pensione». Un’utopia? Chissà. Del resto, chiosa Loquenzi, si tratta di uno che si è messo in testa di «raddrizzare il modo storto con cui si guarda al mondo dell’impresa. E, per farlo, ci mette tanta energia quanta ne serve per estrudere un profilato di alluminio». (Leggi l'articolo completo nel numero di dicembre)

Copyright © 2017, Bergamo Economia
PUBBLICITA'