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Economia

L'INTERVISTA

«L’austerità imposta ha portato la crisi»

novembre 2014

Bergamo. “Il futuro è nell’innovazione ma come faremo ad innovare se tutti i Governi in carica, a partire dalle manovre Tremonti-Brunetta, hanno continuato a tagliare risorse al mondo accademico?” Questa è la domanda che Gustavo Piga, professore ordinario di Economia politica presso l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, si pone e ci pone retoricamente nel corso di un’intervista gentilmente concessaci a margine del Forum sulle strategie per finanziare gli atenei europei, organizzato dall’Associazione delle Università Europee - EUA proprio a Bergamo il 9 e 10 ottobre. Va detto, però, che tema dell’intervista era la recente campagna di raccolta firme per un referendum abrogativo della legge che attua il Fiscal Compact. Gustavo Piga, infatti, era ed è tuttora il responsabile del comitato promotore Referendum-stop-austerità ed in questa veste si è battuto tenacemente per raggiungere le 500.000 firme necessarie ad indirli.
Ebbene, professore, come è andata la raccolta firme a sostegno dei quattro quesiti da voi proposti?
Se andare bene significa raggiungere l’obiettivo delle 500.000 firme per ogni quesito, allora non si può certo affermare che la raccolta sia andata bene. Purtroppo, infatti, non siamo riusciti a centrare l’obiettivo. Se, invece, andare bene è una valutazione sulla capacità di mobilitare consenso attorno ad una proposta, allora, possiamo giudicare la nostra iniziativa un trionfo. In totale, infatti, siamo riusciti a raccogliere ben un milione e cinquecento mila firme per tutti e quattro i quesiti senza avere sostegno da parte della stampa. Anzi, può essere affermato che abbiamo subito un boicottaggio da parte della stampa e soltanto grazie all’interessamento degli organismi di vigilanza siamo riusciti ad ottenere un po’ di visibilità negli ultimi giorni della campagna di raccolta. Il fatto è che in Italia si continua a proibire il dibattito sul fiscal compact e sulle questioni connesse. Proibire il dibattito, però, significa proibire la crescita.
Ci può spiegare meglio questa relazione?
Lo spiego con una metafora. Immaginiamo un aereo che viaggia con un pilota automatico programmato per condizioni meteo ottimali. Se arriva la tempesta, cosa fa il comandante? Disinserisce il pilota automatico e cambia modalità di volo. Ora, la crisi che stiamo attraversando è proprio una tempesta. Perfetta però. Ciò significa che certe politiche vanno riviste. Non si è mai visto nella storia dell’uomo che in tempi di crisi, i governi si rifiutassero di intervenire a sostegno dell’economia finanziandola. Pensiamo a cosa successe negli anni post crisi del ‘29. Allora, si vararono politiche di spesa pubblica orientate alla ripresa ma oggi? A tal proposito, ci tengo a specificare che l’economia può esser finanziata sia con maggiori investimenti, sia riducendo le tasse.
Maggiori investimenti significano maggiore spesa pubblica?
No, le risorse per i maggiori investimenti possono essere trovate attraverso tagli alla spesa pubblica improduttiva: bisogna tagliare gli sprechi! Pensiamo alla dinamica degli appalti; questi valgono il 15% del PIL ed il 30% della spesa pubblica. Ora, in Italia, esistono numerose stazioni appaltanti e spesso lo stesso bene acquistato da una di esse costa di più rispetto a quello acquistato da un’altra eppure, magari, è lo stesso identico bene. È evidente, allora, che si può tagliare la spesa senza compromettere i servizi. Certo che se si continua con i tagli lineari, non si va da nessuna parte.
I tagli lineari indicano un obiettivo, poi sta alla singola amministrazione raggiungerlo. Non è un modo per responsabilizzare?
Se il taglio è indiscriminato e non selettivo, è controproducente. Basti pensare a cosa accade con gli enti locali: si tagliano finanziamenti sia ai comuni virtuosi, come Bergamo, sia a quelli inefficienti. Con il risultato che i virtuosi non vengono premiati e stimolati a fare meglio mentre gli inefficienti non vedono benefici nel migliorare il loro rendimento. Tanto, alla fine, tutti subiscono gli stessi tagli... La madre delle riforme, allora, è il taglio della spesa ma esso deve essere mirato. Non certo lineare ed in questo senso anche Renzi sta sbagliando.
Beh, però, Renzi ha cercato con gli ottanta euro di stimolare la domanda. Non è quello che serve?
Renzi sta riproponendo la solita politica dei tagli lineari penalizzanti per tutti ed ha finanziato gli ottanta euro con aumenti di imposte. Si veda il caso Tari, Tasi, ecc... Lui stesso, visti i dati negativi sui consumi e sul pil, si è affrettato a dire che quella scelta non è stata una scelta di stimolazione della domanda in stile neokeynesiano ma soltanto un’operazione di redistribuzione per dare di più a chi ha di meno, togliendo a chi ha di più. Questa, però, non è la strada. Così, le cose sono destinate soltanto a peggiorare. Nel Def (ad esempio, si paventa ancora una volta un aumento dell’IVA nel caso in cui non si riescano a raggiungere certi obiettivi di riduzione delle tasse. Lo stesso Ministero, però, scrive che ciò avrà effetti recessivi. Mettiamo anche che non ci sia l’aumento, il solo fatto di paventarlo ha già creato paura e la paura dissuade investimenti e consumi.
Quale sarebbe, allora, la sua ricetta?
Guardi, nel 2011, l’Europa stava uscendo dalla crisi. Lo dicono i dati. A metà 2011 il Pil italiano era positivo. Noi abbiamo provocato questa crisi, iniziando a parlare di Fiscal compact ed approvandolo a fine 2011. Il fiscal compact è così complicato che nemmeno un marziano lo capirebbe. Semplificando, però, è un meccanismo che impone la riduzione del debito ogni anno per i paesi che sforano il parametro del rapporto debito/pil al 60%. Dicendolo, si sottintende un’altra cosa e cioè che non ci saranno investimenti procrescita e che non ci saranno diminuzioni di imposte perchè tutti gli sforzi del Governo saranno diretti a reperire risorse per ridurre il debito. Ciò crea incertezza e nessuno investe o consuma se vi è incertezza. Ciò crea la crisi che stiamo vivendo. Questa crisi è una crisi di  domanda. Va stimolata la domanda. Per stimolarla bisogna fare investimenti oppure ridurre le tasse.
Lei è contrario o favorevole all’euro?
Favorevole, l’Euro è un’opportunità per rafforzare la nostra unione. Sono le politiche errate d’austerità che ci allontanano gli uni dagli altri. Non c’è, infatti, stabilità senza crescita.
Uscire dall’euro non è un’opzione?
In un mondo globale, bisogna unirsi per contare. Non a caso i colori del logo del nostro comitato sono il blu ed il giallo ovvero i colori della bandiera europea e non è un caso che abbiamo rifiutato l’appoggio di movimenti come la Lega o i grillini per raccogliere le firme necessarie ai referendum. Noi, infatti, non siamo per l’uscita dall’Euro o dall’Unione Europea; siamo per politiche diverse, politiche che ci uniscano per esser più forti. D’altronde, anche negli USA l’unione federale è stato un percorso lungo e complesso.
Cosa ne pensa, allora, di chi sostiene una maggiore cessione di sovranità per rafforzare l’Unione?
Sarebbe egualmente sbagliato. La cessione della politica fiscale a Bruxelles non sarebbe capita dai popoli e causerebbe un rigetto ancor più marcato: bisogna andare per gradi. Pensiamo sempre all’esempio USA: là, agli albori, c’erano diversi stati con diverse politiche, diverse tradizioni, diverse priorità e persino diverse lingue; ci sono voluti secoli, una guerra civile, l’invenzione della ferrovia e l’intelligenza di politiche solidali orientate al futuro per capire che uniti si era più forti. Dopo la crisi del ‘29, Roosvelt varò politiche solidali per cui gli stati forti aiutarono i deboli. Ciò rese l’America più unita e più forte. Per tornare all’Europa, la Germania deve capire che aiutare gli stati europei in difficoltà è vantaggioso anche per lei. Ciò, infatti, rafforza l’Europa e rafforza anche lei che dall’Europa trae molti vantaggi politici ed economici.
La sua è una terza via. Come si muoverà in futuro?
Ripartiremo con la raccolta firme contro la cieca austerità e per l’abrogazione del Fiscal compact. Ora, infatti, conosciamo quali sono le nostre potenzialità ed abbiamo visto che c’è consenso attorno alla nostra azione mentre la situazione economica peggiorerà di sicuro con queste politiche recessive. Ciò, in definitiva, creerà più consenso attorno alla nostra iniziativa. Bisogna solo saper aspettare il momento giusto per partire con una nuova raccolta e poter riuscire a votare i quesiti nel 2016.


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