PUBBLICITA'

Economia

POLITICA

Matteo «Secondo Matteo»: «Vi racconto il mio amico Salvini»

maggio 2018

Si incrociarono per la prima volta ad Azzano San Paolo, nel 1997. Negli anni in cui i calendari sexy erano stati sdoganati al punto da non essere più considerati meri gingilli per camionisti, bensì un vero fenomeno di costume: e le calendive rivendicavano orgogliosamente di aver esibito le loro nudità per nobili fini artistici.
Anche la Lega aveva perorato la causa: declinandola, ovviamente, in salsa padana. Così, quella sera, arrivarono supporter da tutta la regione per assistere al debutto dell’almanacco che immortalava dodici discinte bellezze nostrane. Come Viviana, studentessa dell’agraria: una compagna di scuola del primo Matteo (Pandini), allora 17enne. A calamitare le sue attenzioni, però, non furono soltanto quelle procaci pin-up: ai margini del salone c’erano due ragazzi - agghindati in abiti da Renzo Tramaglino e Lucia Mondella - intervenuti per propagandare una serie di eventi culturali. Impossibile non andare a presentarsi.
«Piacere, Matteo», disse il primo. «Piacere, Matteo», gli rispose il secondo, di anni 24.
Iniziò così la lunga amicizia tra Matte e Teo (come si chiamano tra di loro): il bergamasco Matteo Pandini (vice-caposervizio agli interni, cronaca e politica di «Libero», probabilmente la più autorevole firma italiana quando si tratta di sviscerare questioni inerenti il Carroccio) e Matteo Salvini. Un legame costellato da epici alterchi, professionali e calcistici: inevitabili se da una parte c’è un giornalista e dall’altra un politico, e se l’uno tifa Inter e l’altro Milan.
Un rapporto che nel 2016 è sfociato nella scrittura di un libro a “sei mani” («Secondo Matteo», Rizzoli; insieme a loro, Rodolfo Sala de «La Repubblica»), giunto alla quarta ristampa e intorno al quale si sono nuovamente accesi i riflettori a seguito dell’exploit della Lega alle ultime elezioni.
Azzerate i preconcetti: perché, pagina dopo pagina, le vostre certezze in merito al Salvini nazionale vacilleranno. Non ci credete? Basterebbe una veloce lettura ai primi capitoli, in cui cita Oriana Fallaci, Walt Disney («Se puoi sognarlo, puoi farlo») e Antonio Gramsci (rivendicando lo status di “comunista padano”), tra un verso di Ligabue e uno di De André.
Da quell’incontro datato 1997 non vi siete più persi di vista.
«Una conoscenza che si fece più stretta a partire dal 2005, quando venni arruolato a “Libero” per uno stage: seguivo la cronaca di Milano e della Lombardia, lui era capogruppo della Lega a Palazzo Marino e, sostanzialmente, l’unico leghista importante del Capoluogo. Lo chiamavo spesso. Ho perso il conto delle interviste che gli ho fatto».
Mai nessun grattacapo a seguito di qualche articolo?
«Tantissimi. Come quando scelse di nominare responsabile immigrazione Toni Iwobi, il cui nome sarebbe stato reso noto durante una conferenza stampa. Ne venni a conoscenza e lo scrissi sul mio giornale, con un anticipo di 48 ore: bruciandogli, di fatto, la notizia. Mi mandò a dire che ero “uno stronzo”. Oppure, in occasione di un recente raduno di Pontida: uno dei primi in cui la Lega salviniana doveva affrontare un dibattito interno tra nordisti e chi proveniva da altre zone d’Italia. Riportai di alcuni diverbi, emersi anche sui social: l’indomani mi chiamò per lamentarsi, adducendo che avevamo esagerato. Forse, però, la volta in cui si arrabbiò più in assoluto ha a che fare con l’espulsione di Tosi; ero al Parlamento di Strasburgo: per tutto il giorno non mi rispose al cellulare. La sera feci irruzione nel ristorante in cui stava festeggiando il suo compleanno insieme a degli amici e mi autoinvitai. Colsi il turbamento con il quale stava vivendo quella cacciata e redassi un pezzo di pura cronaca, senza commenti; ma venne corredato da un titolo un po’ forte: “Salvini espelle Tosi e fa festa”. Si infuriò. È il gioco delle parti: ok l’amicizia, ma il lavoro è lavoro. I leghisti sono gli unici politici che, in carriera, mi hanno querelato o minacciato di farlo».
Negli anni in cui iniziò l’amicizia con l’attuale leader della Lega, frequentavi l’Agraria: come Maurizio Martina, segretario reggente del PD.
«Un bravo ragazzo, serio, cordiale: oggi come allora. Parlavamo molto di politica, sebbene le nostre idee si collocassero agli antipodi: era rappresentante di istituto, nonché un secchione. Cosa lo accomuna a Salvini? Sono riflessivi, rigorosi».
Una qualità che non si affibbierebbe al Salvini-personaggio, ma che effettivamente affiora nel libro.
«Era il nostro obiettivo: offrire un ritratto diverso rispetto a ciò che emerge nei talk show, dove è necessario lanciare slogan per rispondere a dei tempi stringati. Io e Sala lo abbiamo spremuto a 360 gradi, partendo da sensibilità politiche diverse. Persino “Il Fatto quotidiano” ha apprezzato la biografia: hanno messo nero su bianco che Salvini è meglio quando scrive, di quando va in TV».
Una stesura a sei mani può rivelarsi insidiosa.
«Lo abbiamo rincorso ovunque. Ricordo un fruttifero Milano-Strasburgo in auto: cinque ore a tartassarlo di domande; senza parlare delle lunghe telefonate alle sei del mattino, per approfittare dell’unico buco nella sua fittissima agenda. Sono stati due mesi massacranti: abbiamo subissato di interrogativi anche la sorella, Barbara, e i loro genitori».
Il leader del Carroccio è giornalista professionista e vanta una lunga gavetta a Radio Padania: avrà apportato una marea di correzioni alla prima bozza.
«Non ha fatto grandi modifiche, né ha censurato alcun passaggio. Ha riletto con meticolosa cura i passaggi in cui si indugiava sul suo legame con Bossi o si affrontavano dinamiche interne al partito, poiché non voleva riaprire vecchie ferite. Diversamente da quanto ha fatto Renzi nel suo ultimo libro, “Avanti”: è entrato a gamba tesa, moltiplicando i mal di pancia nel PD».
Come vanno le cose tra Salvini e Bossi?
«È una relazione di sincero affetto, gratitudine e rispetto. Lo dimostra la ricandidatura a sorpresa del Senatür alle ultime elezioni, sebbene alcuni leghisti fossero contrari. Da parte di Bossi, il rapporto si è raffreddato: non condivide la linea di Salvini a livello nazionale, al punto che lo ha accusato di rovinare la Lega. L’approccio a Berlusconi è un’altra nota dolente: Salvini pensa di avere il coltello dalla parte del manico; Bossi, invece, è molto più morbido col Cavaliere: del resto, si presentava ad Arcore con un pacchetto di voti decisamente inferiore rispetto a Forza Italia. Piaccia o no, Matteo ha ribaltato i ruoli».
Ci fu un momento in cui sembrava certo che l’erede del Senatür sarebbe stato suo figlio Renzo.
«Era il sogno del padre: dopo il malore non si fidava più di nessuno, soltanto dei familiari. Era commovente sentirlo parlare di Renzo: un amore sconfinato, misto all’orgoglio; chiacchierando del figlio con noi giornalisti si emozionava, aveva gli occhi lucidi. E dire che era partito col piede giusto in Regione, volando basso. In seguito rilasciò due interviste significative: una alla Bignardi, in cui ripercorse in un excursus toccante la malattia del padre, e una a “Libero”, a mia firma. Forte dei riscontri positivi decise di fare di testa sua: e così, quando dovette preparare un video-messaggio per un convegno, rifiutò ogni proposta di aiuto dei giornalisti di TelePadania e di Radio Padania: venne fuori un disastro, sul web lo massacrarono. Fu l’inizio della fine».
Tornando alle elezioni del 4 marzo: quel 18% di consensi scrive una nuova pagina della storia politica del Paese. Ha quasi doppiato il miglior Bossi.
«Un risultato che va collocato all’interno della crisi del centro-destra: AN non esiste più, e la Lega ha recuperato anche i voti in uscita da Forza Italia. Non dimentichiamo che a Salvini va riconosciuto il merito di aver cavalcato per primo alcuni temi poi finiti nell’agenda politica nazionale e internazionale: Euro ed Europa, immigrazione, rapporti con l’Islam. Prese in mano il Carroccio alla vigilia delle elezioni europee del 2014: i sondaggi lo davano al di sotto del 4%, soglia minima per metter piede nel Parlamento europeo; riuscì a portarlo a un dignitoso 6 e rotti per cento».
In cosa consiste l’«S-Factor»?
«Ha un approccio vincente, empatico: presidia i social H24 e gira nelle piazze. È instancabile, dorme pochissimo: è il classico animale politico che vive di adrenalina e di sfide».
Persino Berlusconi ne ha elogiato le doti comunicative.
«Frutto degli anni di allenamento a Radio Padania: ore e ore di diretta a interloquire con gli ascoltatori. È lì che ha affinato la dialettica e ha compreso l’importanza di coltivare il rapporto con il proprio elettorato».
Quanto durerà l’era Salvini?
«Se non si monta la testa e mantiene la lucidità, credo tantissimo. Dalla sua, vanta un ampio consenso, nonché l’essere giovane».
Eppure in molti, nel partito, scalpiteranno per fargli le scarpe.
«Chi ha successo scatena automaticamente invidia, ma per ora è intoccabile: i risultati che è riuscito a ottenere parlano per lui».
Cito: «Vedo più valori di sinistra nella destra europea, che in una certa sinistra che si spaccia per tale».
«Lo testimoniano le ultime elezioni: ormai il PD resiste solo nei centri lussuosi delle grandi città, mentre le periferie si spostano sul centrodestra o i grillini. La sinistra non sa più parlare al suo storico elettorato di riferimento. Nella campagna elettorale per le politiche, centrodestra e 5stelle hanno discusso di legge Fornero, flat tax, reddito di inclusione; la sinistra, invece, ha gridato all’allarme fascista. Salvini sostiene che il vero scontro ideologico riguardi la concezione dell’Europa: una visione elitaria, che piace alla grande finanza e ai tecnocrati, e un’altra legata alle identità».
Di Matteo in Matteo: in cosa si somigliano Salvini e Renzi?
«Nelle spiccate doti comunicative e nell’aver intuito fin da subito l’importanza dei social network. A Salvini va riconosciuta la predisposizione al dialogo con le diverse anime interne al partito: Renzi è più ruvido, vendicativo. Pochi sanno che dopo la batosta del referendum, Salvini gli mandò un messaggio per conferirgli l’onore delle armi».
A proposito di chicche poco note: ne conoscerai a centinaia.
«Non guarda la TV, non ne ha tempo, ma è espertissimo di “Super Pigiamini”: sono la passione della figlia piccola, Mirta, 5 anni. È autoironico: si diverte nel vedere video e fotomontaggi in cui lo sfottono. Ciclicamente prova a smettere di fumare, è ghiotto di crostacei e si cruccia di apparire grasso in tv. Durante la stesura della biografia, una sera a tarda ora ci ritrovammo a casa sua a Milano: mentre lo distraevo, Sala cercò di bruciare una sciarpa del Milan appesa all’ingresso».
Ed Elisa Isoardi?
«L’ho conosciuta a Roma, alla presentazione del libro. Sono innamoratissimi e riservati. Quando lui riceve una chiamata di lei, si isola per parlare: come tutti i fidanzatini».
Claudio Amendola lo ha definito il politico più capace degli ultimi 20 anni.
«Certamente ha compiuto un miracolo: ha salvato la Lega, che era un partito politicamente allo sbando. Si sta dimostrando lucido e perfino diplomatico, mostrando doti inimmaginabili».
Rossella Martinelli


Copyright © 2018, Bergamo Economia
PUBBLICITA'